by Sergio Segio | 1 Dicembre 2011 11:32
Il nuovo discrimine si applica alle campagne, che raccolgono grosso modo la metà della popolazione cinese, ma è bastato per moltiplicare il numero dei poveri ufficiali da meno di 27 milioni a 128 milioni. Appunto, oltre 100 milioni di poveri in più.
La mossa, sottolineano le fonti cinesi, serve ad allineare le statistiche del Paese alla sua situazione reale, anche se il reddito giornaliero (un dollaro scarso al giorno) resta inferiore al limite fissato dall’Onu (1,25 dollari al giorno). A metà del mese scorso il libro bianco governativo sulla povertà aveva sottolineato con orgoglio come nel 2000 gli indigenti, con una soglia di 865 renminbi al mese, fossero ancora oltre 94 milioni e dunque la loro drammatica riduzione nel decennio successivo fosse un trionfo.
Benché gli organismi internazionali ritengano che la Cina abbia spesso nei confronti delle statistiche un atteggiamento quanto meno disinvolto, e benché nella stessa Cina il problema sia ben presente, i nuovi parametri della povertà rurale hanno il pregio di fare chiarezza. L’inflazione è scesa sotto il 6% ma resta sopra il 5% e chiunque abbia attraversato anche distrattamente persino i distretti rurali di una metropoli come Pechino, per non parlare di province remote come il Guangxi o il Qinghai, coglie che ci sia adesso una maggior rispondenza fra numeri ed esperienza empirica. E porta alla luce il paradosso, o la contraddizione, che la Cina agita nei rapporti con l’Occidente: seconda potenza economica ma anche Paese in via di sviluppo. La nuova classificazione certifica questa condizione. Sgombrato il campo dalle ambiguità , verrà a cadere anche qualche alibi. Per la Cina e per il resto del mondo. Ed è meglio per entrambi.
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