Kim Jong-il, il dolore di regime ai funerali lo show della successione
PECHINO – La Corea del Nord dà l’addio al suo imperatore rosso con una liturgia grandiosa e drammatica, tale da proiettare l’immagine di Kim Jong-il dalla terra al cielo, per garantire dall’alto l’eredità del potere comunista al “Grande Successore”, da oggi padrone del Paese e del suo misterioso arsenale atomico. Il primo dei due giorni di funerali del “Caro Leader”, ufficialmente morto in treno il 17 dicembre a 69 anni, si trasforma in uno spettacolo politico studiato nei dettagli, trasmesso in diretta della tivù di Stato e rilanciato nel mondo da Cnn e Bbc. La propaganda, per confermare la propria fedeltà al terzogenito Kim Jong-un, ha allestito una scenografia partitico-militare adatta al commiato ad un dio-dittatore-generale, consumato con 21 salve di cannone.
Anche la neve ed il gelo, che dalla notte tingono Pyongyang di grigio e di azzurro, sono interpretati come uno straordinario omaggio al condottiero, capace di comandare gli elementi naturali anche da morto. E un uccello bianco, posatosi sulla statua di Kim Jong-il poco prima delle esequie, viene trasformato all’istante in un prodigio e ribattezzato con il nome del defunto. I dodici giorni di lutto cominciano e finiscono davanti al palazzo Kumsusan, eletto a sacrario popolare, e sigillano il fragilissimo passaggio delle consegne all’interno della dinastia dei Kim. Tre ore di cerimonia, dalle 14 alle 17 locali, in una capitale immobile e riservata all’esercito, ai funzionari del regime e ai figuranti schierati per recitare il copione del dolore e dell’obbedienza.
L’addio a Kim Jong-il diviene così la sintesi dei suoi diciassette anni di dittatura e la rappresentazione del nuovo direttorio che gli succede, sotto la benedizione della Cina. Il corteo è formato da cinque limousine nere, seguite dalle jeep militari, dai camion dell’esercito che trasportano l’orchestra e dagli ufficiali in alta uniforme. Apre la vettura che mostra il ritratto sorridente del “Caro Leader”, segue quella sormontata da una corona di garofani bianchi e chiude l’auto che espone la salma dentro una cassa di cristallo scuro, coperta dalla bandiera rossa del Partito dei Lavoratori. Ciò che oggi conta, e a cui il mondo guarda con un misto di fiducia e di terrore, è però quanto ruota attorno. Sulla sinistra del carro funebre, lungo i 40 chilometri della sfilata per Pyongyang, ci sono il terzogenito Kim Jong-un, lo zio-tutore Jang Song-Thaek, e i due più alti dirigenti del partito. Sulla destra camminano il ministro della difesa e i generali più influenti dell’esercito. Da una parte la famiglia ed il partito, dall’altra le forze armate, impegnate ad aprirsi un varco tra due ali di soldatesse scosse da inconsolabili singhiozzi. Assenti i due figli e la figlia di Kim Jong-il, il resto della parentela, per sottolineare che è Kim Jong-un, non ancora trentenne, il solo erede di una potenza nucleare in cui 24 milioni di nordcoreani rischiano di morire di fame. Il giornale del partito incorona il nuovo “Leader supremo” davanti all’ambasciatore cinese a Pyongyang, unico straniero ammesso ai funerali e garante globale di «pace e stabilità » a cavallo del 38º parallelo. Kim Jong-un, per tre ore, trasfigura nel ritratto del padre e già in quello del nonno: vestito nero alla Mao Zedong, sguardo assente, mano nuda appoggiata all’auto che trasporta la bara e corpo assai più grasso dei giorni scorsi. Verità e finzione si confondono, la piazza dove sorge il mausoleo dei Kim è gremita di sudditi assiderati e immobili, e nulla lascia intendere un crollo imminente del regime.
Da Mosca sono arrivati anche gli imbalsamatori di Lenin e oggi Kim Jong-il diventerà una mummia, esposta a fianco di quella di Kim Il-sung. Dentro la Corea del Nord nulla sembra essere cambiato e fuori solo un gruppo di dissidenti in esilio a Seul esorta i connazionali ad abbattere la dittatura. Le grandi potenze, fiaccate dalla crisi, tacciono: e sperano che questa grottesca replica atomica dello stalinismo, alla deriva nel Duemila, possa reggere ancora per un po’.
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