by Sergio Segio | 2 Dicembre 2011 18:29
Jà¼rgen Habermas è arrabbiato, molto arrabbiato. L’ha presa sul personale. Sbatte violentemente una mano sul tavolo e grida: “Basta!”. Non vuole assolutamente vedere l’Europa finire nel cestino della storia. “Parlo da cittadino e preferirei di gran lunga starmene a casa alla mia scrivania. Ma ci sono cose troppo importanti: tutti devono capire che siamo di fronte a una decisione di importanza cruciale, ed è per questo che mi sento così coinvolto in prima persona. Il progetto europeo non può continuare in questo modo così elitario”.
L’Europa è il suo progetto, il progetto della sua generazione. A 82 anni Habermas ha voglia di parlare: è su un palcoscenico del Goethe Institute di Parigi. Riferendosi ai debiti sovrani e alla pressione dei mercati, di solito esprime in modo sapiente concetti come questo: “In questa crisi, gli imperativi funzionali e sistemici entrano in collisione tra loro”. Talvolta scuote la testa costernato e dichiara: “È semplicemente inaccettabile. Inaccettabile!”, riferendosi al diktat dell’Ue e alla perdita della sovranità nazionale della Grecia.
Ma qui torna ad arrabbiarsi sul serio: “Io condanno i partiti politici. La nostra classe politica da tempo è inetta e incapace di aspirare ad altro che non sia la semplice rielezione. È assolutamente priva di sostanza, non ha principi”. È nella natura di questa crisi che ogni tanto il filosofo e i politici da bar si ritrovino sullo stesso piano.
Habermas vuole trasmettere questo messaggio ed è per questo che si trova qui e ha appena scritto un libro – lui lo chiama un “opuscolo” – che il settimanale tedesco Die Zeit ha paragonato al libello “Per la pace perpetua: un progetto filosofico”, scritto da Emmanuel Kant nel 1795. Habermas ha una risposta alla domanda “quale strada devono imboccare democrazia e capitalismo”?
Il suo nuovo libro si intitola Zur Verfassung Europas (“La Costituzione europea”), e in sostanza è un lungo saggio nel quale il filosofo descrive in che modo l’essenza stessa della nostra democrazia sia andata evolvendosi sotto la pressione della crisi e in seguito del panico dei mercati. Habermas afferma che il potere è scivolato dalle mani dei popoli ed è andato a finire in quelle di istituzioni di dubbia legittimità democratica, come il Consiglio europeo. I tecnocrati hanno messo a segno un colpo di stato silenzioso.
Habermas chiama “post-democrazia” il sistema che Merkel e Sarkozy hanno instaurato durante la crisi. In tale sistema il Parlamento europeo non ha praticamente più nessuna influenza. La Commissione europea è in una “strana posizione, è come sospesa”, senza per altro essere responsabile di ciò che fa. Habermas punta il dito soprattutto contro il Consiglio europeo, che ha dato un ruolo centrale al trattato di Lisbona – da lui ritenuto “anomalo”. Per il filosofo infatti il Consiglio è un’“istituzione di governo che fa politica senza essere autorizzata a farla”.
A questo punto dovremmo anche aggiungere che Habermas non è un insoddisfatto, un pessimista, un profeta del disfattismo: anzi, teoricamente è un ottimista ed è proprio questo a renderlo un fenomeno raro in Germania. Habermas crede veramente nella ragione umana e nella vecchia, ordinata democrazia. Crede veramente in una sfera pubblica al servizio del progresso.
Anche per questo Habermas ha osservato con gioia il pubblico presente alla serata parigina di metà novembre. Mentre gli attivisti del movimento Occupy si rifiutano di formulare una richiesta precisa, Habermas esprime nei minimi dettagli perché ritiene che il progetto civilizzante europeo non possa essere lasciato fallire, e per quale motivo la “comunità globale” debba necessariamente riconciliare la democrazia col capitalismo. D’altro canto il movimento Occupy e il filosofo non sono poi così distanti tra loro. Si tratta, in sostanza di una divisione del lavoro, tra analogico e digitale, tra dibattito e azione.
Mentre sorseggia un bicchiere di vino bianco dopo il dibattito, Habermas racconta: “A un certo punto, dopo il 2008, ho capito che il processo di espansione, integrazione e democratizzazione non avanza automaticamente, ma è reversibile, e che per la prima volta nella storia dell’Ue stiamo assistendo allo smantellamento della democrazia. Non credevo che una cosa del genere fosse possibile. Siamo arrivati a un bivio”.
“L’élite politica non ha interesse a spiegare alla popolazione che a Strasburgo si prendono decisioni importanti: si limita a temere di perdere il proprio potere”, dichiara. Ciò serve a capire perché il filosofo prenda la questione europea così sul personale: la cosa ha molto a che vedere con la cattiva Germania del tempo che fu e la buona Europa del domani; con la trasformazione del passato in futuro, con un continente che un tempo era lacerato dal senso di colpa e adesso si trova dilaniato dai debiti.
Questa è la sua visione: “I cittadini di ogni singolo paese, che finora hanno dovuto accettare la riallocazione delle responsabilità al di là dei confini sovrani, in qualità di cittadini europei potrebbero far pesare la loro influenza democratica sui governi che al momento agiscono nell’ambito di una zona grigia costituzionale”.
Il filosofo non considera l’Ue come una confederazione indipendente di stati o una federazione tout court, ma come qualcosa di totalmente nuovo: un edificio legale che i popoli europei hanno deciso di creare in concertazione con i cittadini europei, escludendo intenzionalmente i reciproci governi. Ciò naturalmente esclude la base di potere di Merkel e Sarkozy.
Secondo Habermas esiste un’alternativa allo spostamento furtivo di poteri al quale stiamo assistendo in questo periodo. I media devono aiutare la cittadinanza a capire l’enorme influenza che l’Ue esercita sulle loro vite. I politici dovrebbero capire l’enorme pressione che subirebbero se l’Europa facesse fiasco. L’Ue dovrebbe essere democratizzata.
“Se il progetto europeo fallirà “, dice Habermas, “bisognerà capire quanto tempo occorrerà per tornare allo status quo precedente. Non dimentichiamo cosa accadde con la rivoluzione tedesca del 1848: quando fallì ci vollero cento anni per tornare al medesimo livello di democrazia di prima”.
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