Jovanotti al funerale di Francesco
Il cantante ha partecipato alla cerimonia religiosa. Ferma la tournèe, della quale è stata annunciata la ripresa dal prossimo febbraio, la struttura accartocciata su se stessa è ora a disposizione di un perito incaricato dal tribunale. Ci sono 9 avvisi di garanzia emessi nei confronti di dirigenti e responsabili delle ditte e cooperative incaricate del montaggio, compresa quella OnStage che aveva assunto Francesco: le ipotesi di reato vanno dall’omicidio al disastro colposo, alle violazioni della normativa antiinfortunistica. La morte di Francesco Pinna è stata la 422esima morte sul lavoro dell’anno ma anche quella che più di tutte – per le circostanze in cui è maturata – ha fatto discutere. In Rete l’incidente era stato molto commentato, sottolineando con rabbia il fatto che Francesco prendeva 6,50 l’ora (13-14 euro lordi), e lavorava in un luogo nel quale non c’era l’agibilità per montare il palco in modo corretto. Il dibattito è ripreso ieri, laddove si era fermato. Non è rimasto in silenzio Jovanotti («La mia musica ricomincerà da Trieste). dopo il lungo post nel quale negava che «nel mio tour ci sia del lavoro nero o sottopagato». «Io so, e mi è stato confermato anche in questo caso – continuava il cantante – che in un tour come il mio ogni lavoratore locale è assunto con un contratto in regola con le leggi dello Stato». Il problema, semmai, sta in quelle leggi. E non solo. È quanto afferma un comunicato degli «operaispettacololiveroma», comparso in Rete in questi giorni: «Le produzioni, per massimizzare i profitti, richiedono la costruzione e l’allestimento dei palchi e delle aree dove vengono svolti gli eventi live, nel minor tempo e con meno personale retribuito possibile», scrivono. E ancora: «Il livello di ricattabilità è molto alto, i dispositivi di protezione sono a carico del lavoratore, i lavori vengono pagati tra i 30 e i 90 giorni, non esistono permessi, malattie, ferie, tredicesime, le coperture Enpals e Inail sono solo di facciata, così come gran parte dei contratti». Parole tristemente familiari per tanti precari italiani, su e giù dai palchi
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