by Sergio Segio | 8 Dicembre 2011 8:36
Si tratta per la Lav di una campagna estremamente attuale perché in questi ultimi anni l’industria della pelliccia ha cercato di sopperire al calo di consensi e vendite di cui godeva negli anni ’80 attraverso l’allargamento del target dei potenziali acquirenti di questo capo. Come? Non più attraverso i lunghi manti per signore (ormai ex status symbol), ma con inserti in pelliccia collocati su cappucci, guanti, borse e stivali di ignari o colpevoli consumatori: donne, uomini e bambini, nessuno escluso. Solo dall’8 maggio 2012[1], infatti, tutti i capi con pelliccia, piume o pelle finte dovranno avere la dicitura “Contiene parti tessili di origine non animale”, fino ad allora si può incorrere facilmente in errore, se non si è a conoscenza dell’elenco di tutte le aziende fur-free[2] di cui puoi fidarti totalmente.
“Tra il 2006 e il 2009 il fatturato della pellicceria era crollato del 30% – ci spiega l’iniziativa web Nonlosapevo[3] che affianca la campagna Lav e fornisce una guida utile per comprare in modo critico i capi d’abbigliamento. Andare in giro con addosso la pelle di un animale non sembrava più così affascinante. Ma la moda ha trovato un trucco. Trasformare le pellicce in inserti per scarpe, borse e vestiti.
Sono solo dettagli. E non sembra che costino davvero la vita a milioni di animali”. Nel 2010 inizia così la ripresa di un industria che oggi registra un fatturato superiore agli 800 milioni di euro. Per questo la campagna “Dai valore ai tuoi acquisti: non comprare né indossare pellicce[4]” mira una volta per tutte “a contrastare la massiccia diffusione di capi con inserti in pelo di animale attraverso un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica che va dalla raccolta firme alla pubblicazione di video[5] sulla sofferenza di tutti gli esseri senzienti allevati in pessime condizioni per essere utilizzati come decorazione dei nostri abiti”.
Anche se già dal 2001 il Comitato Scientifico per il Benessere Animale della Commissione Europea[6] aveva definito l’allevamento in gabbia degli animali da pelliccia come “gravemente lesivo del loro benessere”, ad oggi le sofferenze continuano: stereotipie comportamentali, cannibalismo e infanticidio sono tra i problemi più frequenti che colpiscono questi animali nelle gabbie. “Per le madri proteggere i cuccioli è un istinto che credevamo indistruttibile. Gli allevamenti – ha precisato la Lav – ci hanno stupito anche in questo. Nelle gabbie l’assenza di spazi è letale. Gli animali diventano così violenti che uccidono persino i loro cuccioli. Che sia un modo per salvarli?”. Possibile visto che “i metodi di uccisione degli animali da pelliccia, poi, sembrano richiamare un film horror”, ha concluso la Lav.
Ma come per la scelta alimentare vegetariana e vagana[7], selezionare capi e i punti vendita che hanno bandito la pelliccia e optato per una linea commerciale che aderisce al Fur Free Retailer Program[8] certificato dalla Fur Free Alliance[9], significa avere un occhio di riguardo anche per l’ambiente[10]. “Produrre 1 kg di pelliccia di visone, infatti, ha un impatto ambientale maggiore rispetto alla produzione della stessa quantità di acrilico e poliestere. Per la lavorazione si usano cromo, formaldeide e diverse sostanze tossiche e cancerogene”. Uno studio citato dal portale Nonlosapevo[11] ha preso in considerazione diversi fattori, dall’inquinamento dell’acqua a quello dell’aria, passando per il consumo energetico e i risultati “ci dicono che la pelliccia ha impatti da 2 a 28 volte superiori rispetto a quelli di tutti gli altri tessuti. Anche quelli sintetici”. Ma altrettanto poco sostenibile è la sicurezza di questi capi per la salute[12] di chi li indossa. “Per trasformare la pelle di un animale in pelliccia è necessario usare sostanze chimiche tossiche e cancerogene. Nel prodotto finito, però, possono rimanere i residui di queste sostanze, come hanno dimostrato alcune indagini compiute in Germania e Danimarca. I residui, pericolosi per la nostra salute, sono stati trovati persino in inserti di pelliccia destinati all’abbigliamento per bambini”.
Sono molti, quindi, i dubbi non solo etici che circondano un capo di pelliccia, non ultimi quelli riguardanti le tecniche di cattura degli animali non di allevamento. Nel 1998 l’Unione Europea[13] raggiunse un accordo internazionale in materia di standard per le catture cosiddette “senza crudeltà ” (International Agreement on Humane Trapping Standards[14] – IAHTS) con il Canada, la Federazione Russa e gli Stati Uniti d‘America. A seguito delle rispettive ratifiche Canada, Russia e USA possono oggi esportare nell’Unione Europea pellicce ricavate da animali catturati in natura, in linea con il loro impegno ad implementare le disposizioni dell’Accordo.
“Ma sono solo parole – ha continuato la Lav[15]. Le catture in natura di animali per farne pellicce sono una pratica che rappresenta il 15% dell’approvvigionamento mondiale di pellicce e condanna a morte circa 10 milioni di animali all’anno nei modi più cruenti”. I dati emergono da una recente investigazione realizzata negli Stati Uniti (la prima di questo genere in territorio americano), dall’associazione Born Free U.S.A.[16] Le immagini raccolte negli USA[17] ci mostrano atti violenti che sfuggono a ogni controllo dove linci, lontre, procioni, opossum, coyote, donnole, topi muschiati e altri animali finiscono in micidiali trappole, vengono annegati o “finiti” sotto i piedi dei “cacciatori di pellicce”. Tra le vittime ci sono anche delle specie protette. “Le trappole non fanno distinzioni. E soprattutto lasciano l’animale agonizzante per ore, anche per giorni. Finché alla fine non sopraggiunge la morte”.
“Abbiamo documentato come nel sistema di cattura e uccisione di questi animali, praticato negli Stati Uniti, vengano gravemente lesi gli accordi intercorsi con la Comunità Europea al fine di evitare ogni inutile sofferenza agli animali – ha affermato Simone Pavesi[18], responsabile nazionale Lav per la campagna antipellicce – Per tale ragione nelle scorse settimane abbiamo chiesto all’allora Ministro degli Esteri Franco Frattini un suo autorevole intervento in sede comunitaria affinché le autorità preposte svolgano indagini. Inoltre, a difesa dei principi dell’Unione Europea in tema di benessere animale. Chiediamo anche al nuovo Governo che sia subito sospesa l’importazione di pellicce tra Stati Uniti e Unione Europea, in attesa che questa deprecabile vicenda sia del tutto chiarita”.
Anche per questo Lav e Nonlosapevo (ora non possiamo più dirlo!) invitano tutti a non chiudere gli occhi su questo orrore con questo invito: “Secondo l’Eurispes, l’83% degli italiani è contrario ad uccidere gli animali
per farne delle pellicce. Fai parte di questa percentuale? Vieni in piazza il 10 e 11 dicembre per firmare la petizione antipellicce e fai conoscere a tutti i diritti animali[19]“. Australia, Inghilterra e Croazia hanno già vietato gli allevamenti per produrre pelliccie[20]. Ora tocca anche a noi.
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