by Editore | 16 Dicembre 2011 9:44
Malgrado la risoluzione 1973 dell’Onu lo avesse infilato da marzo nel bagnomaria di un’enigmatica sospensione, e martedì il viceministro degli Esteri libico Mohamed Abelaziz attribuisse a Tripoli «riserve» sul ripristino di «alcuni punti» dell’intesa, il nuovo presidente del Consiglio è riuscito a ottenere la resurrezione del patto firmato nel 2008 da Muammar el Gheddafi e Silvio Berlusconi.
In base a quel Trattato, l’Italia deve finanziare opere pubbliche in Libia per 5 miliardi di dollari in 20 anni ottenendo in cambio posizioni privilegiate nell’assegnazione di commesse. Se invece della riattivazione del patto invidiato da Francia e Gran Bretagna ci fosse stata la riapertura di un negoziato, le procedure parlamentari per la ratifica non sarebbero cominciate prima di 20 mesi. Il Paese uscito da 42 anni di dittatura del Colonnello ha in programma di insediare tra 7 mesi un’assemblea che deve portare alla stesura di una costituzione. Un anno dopo, elezioni politiche. L’organo che ratificò il Trattato, l’Assemblea generale del popolo, è crollato con Gheddafi.
L’accordo del 2008 impegna tra l’altro il nostro Paese a non autorizzare attacchi dal proprio territorio a quello libico. Per questo era stato oggettivamente sospeso dalla risoluzione dell’Onu invocata per il via libera alle incursioni aeree internazionali in difesa dei ribelli. Mustafa Abdul Jalil, il presidente del consiglio di transizione che ieri è stato da Monti, da Giorgio Napolitano e dal ministro degli Esteri Giulio Terzi, ha riservato all’Italia segni di riguardo. Nel ringraziare dello sblocco di 600 milioni di euro di fondi congelati, ha diplomaticamente inviato saluti anche a Berlusconi, all’ex ministro degli Esteri Frattini, al titolare della Difesa, al capo di Stato maggiore e a «Carlo, Gianluca e il team che li accompagnava». Sarebbero gli uomini del servizio segreto Aise mandati durante la guerra ad aiutare gli insorti.
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