Il telecomando della libertà 

by Editore | 12 Dicembre 2011 7:57

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Domani il Cda della Rai si riunirà  in seduta straordinaria. All’ordine del giorno: l’avvicendamento (anticipato) di Augusto Minzolini alla direzione del Tg1. Rinviato a giudizio per peculato, a causa delle spese sostenute con la carta di credito aziendale. Un motivo, per la verità , strumentale. La ragioni vere, infatti, sono altre. Una fra tutte: la fine della stagione governata da Berlusconi, contrassegnata dall’intreccio fra televisione, politica e affari. Che ha tradotto il duopolio Rai-Mediaset nel monopolio MediaRai (o RaiSet, secondo i punti di vista). Così il Tg1, da organo istituzionale, attento agli equilibri politici, si è trasformato nel portavoce del governo. Meglio: del suo premier. Con effetti sensibili: sul piano degli ascolti (penalizzati anche per altri motivi), ma, soprattutto, della “in-credibilità “.
Una tendenza confermata dal sondaggio dall’Osservatorio di Demos-Coop pubblicato oggi. La fiducia nel Tg1, presso il pubblico, infatti, oggi si ferma al 50 per cento: 3 punti in meno di un anno fa. Ma nel 2007 (direttore Gianni Riotta) il Tg1 era considerato affidabile dal 69% degli italiani (intervistati). Lo stesso livello, più o meno, del 2002. Insomma: un crollo. Subìto in meno di tre anni. Lo affianca il Tg5, il cui grado di fiducia è intorno al 49%. Cioè: 11 punti in meno del 2007. Il declino della fiducia accomuna, dunque, gli emblemi dell’informazione a reti unificate. Sensibile agli interessi politici (e non solo) del governo. Colpisce, soprattutto, il Tg1. Pubblico, istituzionale. Tradizionalmente prudente e, comunque, non “fazioso”.
Nel 2007 appariva saldamente ancorato al “centro”. I suoi estimatori si dividevano equamente tra elettori di maggioranza e opposizione. In seguito è scivolato a centrodestra (oggi: 20 punti sopra il centrosinistra). Ha “tradito” la sua missione. Anche per questo il Tg1 è stato largamente superato, negli indici di fiducia, dal Tg3 (il più apprezzato) e perfino dal Tg2, i cui “pubblici” sono politicamente coerenti con l’identità  dei notiziari. La performance più rilevante, però, è stata realizzata dal Tg di La7.
Enrico Mentana ne ha fatto un notiziario prevalentemente dedito alla politica, quando gli altri imboccavano la strada della cronaca, soprattutto nera. Per evitare argomenti scomodi (la crisi economica, soprattutto). Inoltre, ha fatto informazione critica. Così, ha conquistato la fiducia del 52% degli italiani: 6 punti in più dell’anno scorso, ma 17 più del 2007. Ha intercettato un pubblico soprattutto di centrosinistra, imponendosi come una sorta di Tg di “opposizione”, quando l’opposizione politica appariva afona.
Un marchio condiviso dall’intera rete, con esiti vantaggiosi. “L’Infedele”, di Gad Lerner, è infatti il programma di approfondimento e dibattito politico che guadagna maggiormente negli ultimi anni. Oggi si attesta al 39%: 6 punti in più dell’anno scorso, ma 13 rispetto al 2007. Anche “Otto e mezzo”, condotto da Lilli Gruber, ha consolidato i consensi dell’anno scorso: 35%. Cioè 10 punti in più del 2007, quand’era diretto da Giuliano Ferrara, meno affine all’orientamento politico del pubblico. Il canale di riferimento per i programmi di dibattito politico e di inchiesta, tuttavia, resta la Terza rete. “Ballarò”, condotto da Giovanni Floris, continua a primeggiare largamente (55% di fiducia). Seguito da “Report”, di Milena Gabanelli (48%). Mentre “Porta a Porta”, di Bruno Vespa, e “Matrix”, di Alessio Vinci, collocati in seconda serata, stazionano più in basso intorno al 40%. Sostanzialmente stabili rispetto al 2010.
Lo stesso grado di fiducia attribuito a “Servizio Pubblico”, il nuovo programma di Michele Santoro. Una base di credito molto ampia per un programma “senza rete” (di riferimento), dopo l’uscita (allontanamento?) da Rai 2.
Infine, resta alto il livello di gradimento e affidabilità  riconosciuto ai pop-talk e ai programmi di satira. “Striscia la Notizia”, “Che tempo che fa”, “Le Iene”. Ma anche “Italialand”.
In generale, l’evoluzione del rapporto fra società  e informazione, proposta dall’Osservatorio Demos-Coop, mostra alcune tendenze piuttosto chiare.
1. La perdita di spazio della radio ma soprattutto dei giornali in edizione cartacea. Compensata dal ruolo assunto da internet, di cui si serve, quotidianamente, il 39% degli italiani (4 anni fa erano il 25%). Contribuiscono, a questo orientamento, i blog specializzati, ma soprattutto le edizioni online dei quotidiani che dispongono di un pubblico, in parte, specifico rispetto alle edizioni cartacee.
2. L’informazione via internet, peraltro, è ritenuta dagli italiani la più libera e, quindi, la più credibile.
3. L’affermarsi dei canali di informazione continua. Diffusi, fino a ieri, dalle reti satellitari, oggi anche da quelle digitali. È il caso di Sky Tg24 (la più equilibrata, per orientamento politico del pubblico). Ma anche di RaiNews 24. Queste reti godono di un grado di fiducia elevato, se si tiene conto dell’ampia quota di persone che ancora non le conoscono. E dispongono, inoltre, di un pubblico competente.
4. Il principale canale di informazione resta, tuttavia, la televisione, a cui accede, ogni giorno, l’84% della popolazione. Gli italiani, dunque, si fidano poco della tv e per questo, ricorrono ad altri media e altri canali. Quasi tutti, però, continuano a “consultarla”. Oltre un quarto di essi, peraltro, si informa “solo” attraverso la tv. Si tratta, per lo più, di donne, anziani, pensionati, con livello di istruzione e ceto sociale medio basso. Queste persone trascorrono davanti allo schermo oltre 4 ore della loro giornata. Oltre ai tg, seguono assiduamente i programmi pomeridiani, che ricostruiscono la “vita” e, soprattutto, la morte “in diretta”. Sono politicamente incerti, distaccati. E per questo, strategici dal punto di vista elettorale.
La televisione resta, dunque, uno spazio importante per la formazione dell’opinione pubblica. Nonostante 4 persone su 5 non la ritengano uno spazio “libero e indipendente”. E quasi 3 su 4 dubitino che la fine del governo Berlusconi restituisca un sistema radiotelevisivo più aperto e trasparente. Gli italiani, cioè, dubitano che il “berlusconismo” sia davvero finito. Uno scetticismo fondato. Se si pensa all’assegnazione “gratuita” (e senza gara di appalto) a Rai e Mediaset delle nuove frequenze digitali, prevista dal precedente governo. Una scelta che, se confermata, rafforzerebbe il monopolio MediaRai. E indebolirebbe ancora la fiducia nel sistema radiotelevisivo. Questo squilibrio: rende in-credibile l’informazione del servizio pubblico. Va risolto in fretta.

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