Il ritorno di Condi Rice Obiettivo vicepresidenza

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NEW YORK — Si alza tutte le mattine alle 5.30, fa ginnastica per ore («i suoi muscoli fanno concorrenza a quelli di Michelle Obama», giura chi l’ha vista in canotta e calzoncini) e dal ritmo quasi frenetico con cui utilizza ogni secondo libero sui campi da golf e al pianoforte, — spesso accompagnata dall’amico cellista Yo-Yo Ma — il suo entourage non ha dubbio: Condoleezza Rice è pronta. 
«Dopo due anni e mezzo come docente a Stanford, freme dal desiderio di ritornare in politica», scrive il quotidiano conservatore «Washington Times», secondo cui la 57enne ex segretaria di Stato, prima donna afroamericana approdata a questa carica, si sta «silenziosamente posizionando per essere la vice nel ticket del candidato repubblicano alla presidenza». 
Anche se per conoscere il nome del vincitore alle primarie repubblicane bisognerà  aspettare l’estate del prossimo anno, l’idea di «Condi vicepresidente» sta già  infiammando la blogosfera repubblicana, dove molti imputano la sconfitta di John McCain nel 2008 all’aver scelto come compagna di corsa Sarah Palin, allora sconosciuta e senza esperienza, invece della Rice, grande studiosa di Russia. 
«La sua entrata in scena cambierebbe in maniera drammatica la dinamica elettorale», teorizza il quotidiano vicino al partito repubblicano, notando come, oltre ad «attrarre le donne moderate», potrebbe «supplire alla mancanza di esperienza in politica estera dei candidati repubblicani in corsa», e «smorzare le critiche di razzismo lanciate dai democratici al Tea Party». 
La recente pubblicazione del suo libro di memorie No Higher Honor, con un lungo tour promozionale costellato da interviste, sarebbe l’inequivocabile segnale del suo desiderio di scendere in pista. Nel libro di 734 pagine la Rice, persona-chiave dell’amministrazione Bush e amica personale di Laura e W, cerca di riscrivere la propria storia. Prendendo le distanze dall’ex presidente Cheney e dall’allora ministro della Difesa Rumsfeld, ritratti come «falchi ultra estremisti». 
Ma come candidata sarebbe tenuta comunque a render conto delle decisioni più controverse dell’era Bush, inclusa quella di invadere l’Iraq, che la Rice difende nel suo memoir come «il preludio alla primavera araba», che avrebbe «vendicato la tesi bushiana sulla necessità  di esportare libertà  e democrazia». 
Anche se nessun altro politico repubblicano sarebbe più adatto a contrastare un’eventuale candidatura di Hillary Clinton come vice di Obama (l’incubo della destra), è anche vero che Condi resta una delle personalità  più vituperate dalla comunità  afroamericana. «Com’è possibile che la sua visione del mondo sia tanto agli antipodi rispetto a quella del resto di noi?», si è chiesto nel 2008 Eugene Robinson, columnist afroamericano di punta del «Washington Post». E dopo che Harry Belafonte l’ha bollata «una dei tiranni neri dell’amministrazione Bush», Bill Fletcher Jr., ex leader della lobby di Washington TransAfrica Forum, l’ha liquidata come «una persona molto fredda e distante, nera per caso». 
Alessandra Farkas


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