Il “ricarico” sulle Grandi Opere così la lobby politici-imprenditori fa lievitare i costi del 40 per cento

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Capita che di una storia di corruzione diventata insieme metafora e immagine del Paese, si finiscano con il ricordare solo le facce, i nomi, l’avidità  dei protagonisti. O, piuttosto, i massaggi in un centro benessere, la spregiudicatezza di un frate missionario ridotto a bancomat, l’oscena risata di un costruttore sciacallo che si compiace per il terremoto de l’Aquila, il patrimonio immobiliare di una potente congregazione vaticana, “Propaganda Fide”, usato come leva per comprare la compiacenza di funzionari pubblici. Capita insomma che si elidano i numeri. E, dunque, si cancelli il danno e la sua macroscopica misura. E’ successo con il lavoro delle procure di Firenze, Perugia, Roma, con le indagini del Ros dei carabinieri sul “Sistema gelatinoso” Anemone-Balducci-Bertolaso, sul potere di spesa senza fondo di una Protezione Civile ridotta a spa del consenso, su un ministro “distratto” e il suo mezzanino al Colosseo. Nelle carte di quelle inchieste – oggi a processo in tre città  diverse – è documentato quale “ricarico” le prassi corrotte di quel sistema di relazioni hanno accollato alle nostre tasche. Su 33 Grandi Opere oggetto di indagine nel triennio 2007-2010 (mondiali di nuoto di Roma, G8 alla Maddalena, 150 anni dell’Unità  d’Italia), il maggior costo sostenuto dalle casse pubbliche è stato di 259 milioni, 895 mila 849 euro. Oltre il 40 per cento dell’importo iniziale con cui i lavori furono aggiudicati. Un salasso che ha fatto schizzare il costo complessivo di quelle opere da 574 a 834 milioni di euro. Per avere un’idea, con quel denaro succhiato dal “Sistema gelatinoso” (259 milioni) oggi – come documentano le richieste sin qui ritenute “irricevibili” da un bilancio pubblico allo stremo – sarebbe possibile realizzare la messa in sicurezza di un patrimonio archeologico dell’umanità  come Pompei o la costruzione di ospedali nell’Abruzzo del dopo-terremoto. I numeri che illustrano il dettaglio dei singoli appalti segnalano la scientificità  nel calcolo del “ricarico” imposto dal “Sistema”, ma anche la crescita esponenziale di quella percentuale. Nell’Italia corrotta scoperchiata da Tangentopoli, il “dazio” sulle grandi opere oscillava tra il 10 e il 20 per cento. In quindici anni, è raddoppiato. Anche perché la “catena alimentare” che deve sfamare si è allungata. Politici, funzionari pubblici, professionisti.

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Le piscine di Roma  Ribasso record per vincere l’asta il trucco dello “sciacallo” dell’Aquila     


Se il G8 della Maddalena è l’applicazione compiuta di uno «schema» corruttivo, i Mondiali di nuoto di Roma del 2009 ne sono la prova generale (è iniziato il processo di primo grado nell’aprile di quest’anno). Il ricorso alla procedure di urgenza non solo consentono di aggirare i vincoli urbanistici, ma trasformano l’Evento in un assalto alla diligenza della spesa pubblica. Non c’è Comune della provincia di Roma che non reclami un posto al sole che lo trasformi in “Polo natatorio” (vedi tabella). E non c’è piastrella di piscina o gettata di calcestruzzo che non costi al contribuente almeno un trenta per cento in più del costo di aggiudicazione. Tra gli imprenditori imbarcati dal “Sistema”, c’è Francesco Maria De Vito Piscicelli. Si aggiudica la progettazione e realizzazione della piscina olimpionica di Valco San Paolo. Un appalto da 8 milioni e 800 mila euro che vince con un formidabile ribasso d’asta (16,5 per cento), da cui “rientra” a neppure un anno di distanza dalla gara con un “atto aggiuntivo” che fissa l’importo dell’opera in 12 milioni e 900 mila euro. La piscina di Valco San Paolo rischierà  di crollare per il modo con cui è stata realizzata. Piscicelli resterà  saldo nel “Sistema”. La notte del terremoto dell’Aquila è lui lo “sciacallo” che ride con il cognato, sognando il banchetto della ricostruzione.

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I cantieri dei 150 anni  Gare vinte senza progetti esecutivi dopo le “aggiunte” i prezzi salgono     


La regola, da sempre, è una sola. La conosce chi l’appalto lo affida e chi l’appalto lo vince. E non importa dove si costruisce e chi costruisce. La regola vuole che lo scarto tra il valore di affidamento e il costo finale di realizzazione di una grande opera pubblica non scenda mai sotto il 40 per cento. E il trucco perché le carte stiano a posto è semplice, come dimostrano i numeri dei cantieri dei 150 anni dell’Unità  d’Italia. La gara viene affidata senza che dell’opera esista un progetto esecutivo. Un po’ come comprare dal concessionario una macchina di cui si conosce il bozzetto, il numero di posti e la cilindrata del motore, ma di cui si ignorano i costi industriali di produzione, destinati a variare. Non c’è appalto pubblico – come è evidente dalla tabella – che, a distanza di pochi mesi della sua aggiudicazione, non conosca un «atto aggiuntivo» in cui il committente (lo Stato) “scopre” che, alla luce del “progetto esecutivo” redatto da chi l’appalto lo ha vinto, il costo si deve “necessariamente” discostare dal valore dell’aggiudicazione. E’ nella differenza di costo – come hanno documentato le indagini – che viene normalmente creata la “provvista” della corruzione. Un segreto di Pulcinella cui, ad oggi, nessun Parlamento ha ritenuto di dover mettere mano con una semplice norma. Aggiudicare le gare con progetto già  esecutivo che sottragga al costruttore la libertà  di aggiustare il valore della commessa.

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Il villaggio del G8  Da 52 a 105 milioni in un anno per il palazzo rimasto inutilizzato     


L’isola della Maddalena e le sue opere per un G8 che non ha mai ospitato, sono e resteranno il monumento alla rapacità  di un “Sistema” che si muoveva protetto dalle “procedure semplificate e di urgenza” che la legge riconosce agli interventi della Protezione Civile. Assimilato ad una “calamità  naturale”, un Grande Evento di cui pure si conosceva la data da nove anni, diventa una corsa contro il tempo che divora oltre 125 milioni di euro in “costi aggiuntivi”. I 284 milioni di opere messi a bilancio al momento dell’affidamento degli appalti si gonfiano fino a superare i 410 milioni. Nessuno, ad esempio, chiede cosa diavolo accada nel quarto lotto del cantiere in cui si lavora alla «realizzazione del palazzo conferenza e dell’area delegati». L’appalto è stato aggiudicato l’11 luglio del 2008 con un ribasso d’asta del 5,9 per cento per 52 milioni di euro. Una cifra che, a distanza di neppure un anno, tra il giugno e il settembre del 2009, raddoppia, passando a 105 milioni di euro. Tanta distrazione ha una risposta nel nome del costruttore che quell’appalto si è aggiudicato: Diego Anemone, la “tasca” del “Sistema”. L’imprenditore da cui prende ordini Angelo Balducci, la più alta autorità  amministrativa in materia di appalti pubblici. Quello che compra «a insaputa» di chi lo andrà  ad abitare, Claudio Scajola, il mezzanino del Colosseo.


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LOMBARDIA. Quand’anche fosse per scegliere modi e tempi del suo suicidio, Roberto Formigoni è uno di quelli che decide sempre lui. E sarebbe comunque una prova di forza. La tracotanza è la solita e quando dice «questa legislatura regionale è giunta al termine» lo fa come per minacciare chiunque gli si pari davanti. Gli ex fedeli alleati della Lega, che abbozzano e non sembrano aver voglia di rompere definitivamente. E anche il centrosinistra, che con il precipitare degli eventi – la data del voto – è costretto ad esplicitare tutta la sua storica incapacità  di proporsi come valida alternativa al sistema di potere costruito da Formigoni. Con quale candidato presentarsi alle elezioni, questo è il problema.

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