Il presidente libico in Italia riserve sul Trattato d’amicizia

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ROMA – Con Gheddafi o senza Gheddafi la Libia continua ad essere forse il paese più delicato per gli equilibri della politica estera, economica e di sicurezza italiana. E forse anche per questo, il primo capo di stato straniero che il nuovo premier Mario Monti riceverà  a Palazzo Chigi sarà  proprio l’ex leader dei ribelli libici Mustafà  Abdel Jalil. Il nuovo presidente libico arriva a Roma sulla scia di un problema che da qualche settimana covava all’interno del Consiglio nazionale di transizione: cosa fare con il Trattato di amicizia siglato da Italia e Libia il 30 agosto del 2008? «La maggioranza dei nuovi uomini di governo libici vuole proseguire col trattato, anzi vorrebbe rafforzare l’alleanza con l’Italia», dice un diplomatico della Farnesina, «ma qualcuno fra i nuovi leader ritiene invece che un accordo che porta la firma di Gheddafi debba essere rivisto, se non altro per dare un segnale di differenza rispetto al regime passato».
Il risultato è che ieri a Tripoli, dopo aver ricevuto l’ambasciatore d’Italia Giuseppe Buccino e il direttore generale per il Medio Oriente Domenico Giorgi, il vice-ministro libico Mohammed Abdelaziz ha detto chiaro che «su alcuni punti del trattato la Libia ha alcune riserve, che dobbiamo discutere». I diplomatici italiani ne sono convinti, «la riserva, il problema principale è che sotto quell’accordo c’è la firma di Gheddafi, e noi capiamo perfettamente questo problema». Per questo sia Mario Monti che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’incontro con Jalil sono pronti ad affrontare la questione del Trattato con realismo. Ma perché il Trattato è importante per l’Italia? Come disse con sintesi commerciale Silvio Berlusconi «quell’accordo significa scuse e risarcimenti in cambio di più gas e meno immigrati clandestini»: e per la nuova Italia di Mario Monti continuare a mantenere in piedi un canale privilegiato con la nuova Libia è ugualmente importante.
Il problema è che in queste ultime settimane la situazione in Libia si sta complicando: dopo gli sporadici scontri fra milizie e gruppi armati, il governo di fatto per il momento ha rinunciato a imporre il disarmo di tutti i gruppi che hanno liberato il paese da Gheddafi e che continuano a rimanere in armi. A questo però si aggiunge il fatto che ormai in piazza iniziano a scendere anche gruppi di cittadini disarmati che protestano contro il governo. Soltanto ieri a Bengasi si sono fronteggiate due manifestazioni, una di 5.000 oppositori del governo del Cnt, un’altra mobilitata dal governo stesso. In questo quadro l’Italia comunque “erede” di Silvio Berlusconi, il paese del premier che baciò la mano a Gheddafi, è un paese che facilmente può entrare nel mirino di chi ha bisogno di polemiche per farsi spazio nella nuova Libia.


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