Il premier guarda avanti: liberalizzazioni e lavoro
Ma Monti, Passera e Fornero non sono le riedizioni aggiornate di Amato e Ciampi. Tra le due esperienze i tratti in comune sono molti: la manovra lacrime e sangue, l’accanimento sulle pensioni, il disastro economico, la fine di un’epoca politica, la «prima Repubblica». Ma venti anni non sono passati invano. Negli anni ’90 si trattava veramente di «salvare» l’Italia, cioè di correggere la rotta di un paese manifatturiero fortissimo ma giudicato (a torto) arcaico e troppo statalista. Negli anni ’10 invece, nonostante la retorica bocconiana e le tredicesime a rischio di Fornero, la sfida non è salvare il paese ma ristrutturarlo su nuove basi. Lì bisognava soprattutto reindirizzare (certo, a suon di liberalizzazioni epocali). Qui si tratta invece di ricostruire dalle fondamenta un paese che oggi è molto più simile alla Grecia che alla Francia. Anche se fosse solo per questo (e non lo è), come minimo la missione dei professori necessiterebbe di un surplus di democrazia, di cautela comunicativa, di umiltà più che di sobrietà . Perché per discutere o spiegare come si intende ricostruire un paese (a meno di piani preordinati o a scatola chiusa) servirebbe una buona campagna elettorale: tre mesi di spiegazioni, comizi, alleanze, sogni per il futuro, confronto su compromessi o paletti.
Un programma e una narrazione. E invece no, il linguaggio penitenziale e tecno-sanitario dei professori attorno al «malato Italia» esclude le forze sociali e chiude gli individui nella propria povertà e incertezza. Mai così diffuse in larghissimi strati di ceto medio, negli anziani e nei giovani.
Il Professore, consapevole o no del terrore che si respira nell’opinione pubblica, per ora si accontenta di discutere con i partiti le prossime mosse. La più ampia riguarda lo scacchiere finanziario europeo e internazionale. E qui i margini di intervento dei partiti sono pressoché nulli. Quelle interne invece mirano a conquistare il sogno proibito dei presunti liberisti di casa nostra: liberalizzazioni e mercato del lavoro. Terreni su cui Mario Monti non nasconde né le cautele né quelle che secondo lui (e l’Europa che lo ispira) sono le necessità .
E’ tirato però da parti opposte. Il Pd ha impantanato («per ora», come ammette Bersani) l’abolizione dell’articolo 18. E non a caso il Pdl batte come un fabbro proprio su questo. Viceversa più il Pdl blocca le liberalizzazioni di farmacie, avvocati e taxi più il Pd sventola le «lenzuolate». Forze uguali e contrarie, almeno in fisica, si annullano. Ma in politica tutto è possibile. Oggi Mario Monti incontrerà Angelino Alfano e i capigruppo del Pdl Cicchitto e Gasparri per un giro di tavolo sulle liberalizzazioni. Da Palazzo Chigi il sottosegretario Antonio Catricalà vuole portare prima possibile in parlamento la sua legge per la concorrenza, presunta panacea di ogni male italiano. Anche perché la prima prova dei professori è stato un fiasco totale: crediti illimitati e conti obbligatori per le banche, benzina e tasse alle stelle per le persone.
«Monti è un nemico del popolo», attacca il segretario del Prc Ferrero. E il premier – già in calo di consensi – non vuole sbagliare le prossime mosse. Oggi in consiglio dei ministri porterà un milleproroghe light (sobrio) e un decreto su missioni all’estero (già finanziate dalla manovra). Sul tavolo anche la legge comunitaria che adegua le norme italiane a quelle europee. Tappe importanti ma di passaggio, prima della battaglia su contratto Ichino e crescita.
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