by Editore | 19 Dicembre 2011 9:30
ROMA – Lei, il Guardasigilli Paola Severino, è visibilmente soddisfatta. Pronta a lasciarsi andare, a metà del pomeriggio, a un «siamo sulla strada giusta». Ma i pidiellini – non uno solo, ma in tanti – la aspettano al varco nelle aule parlamentari. Decisi a dare battaglia sulla permanenza dell’arrestato, per 48 ore, nelle camere di sicurezza, la misura del pacchetto carceri che né Angelino Alfano né Nitto Palma, i predecessori della Severino, avevano ipotizzato o tentato. «Il testo non lo abbiamo ancora letto, ma muoversi per decreto di certo non aiuta il confronto, vedremo che fare in sede di conversione» dice Enrico Costa, capogruppo del Pdl in commissione Giustizia. Gaetano Pecorella fa di più, lancia un vero e proprio “altolà “: «Ma scherziamo? Vogliamo tornare indietro di 15 anni? Allora le camere di sicurezza furono abolite perché non davano garanzie né per l’incolumità dell’arrestato né per la regolarità dell’inchiesta. Tornare indietro significa solo inquinare il processo, perché è fuori dalle regole lasciare per 48 il detenuto in balia di chi, come le polizie, hanno tutto l’interesse a ottenere il maggior numero di informazioni. Che siano state estorte davvero o che in seguito l’imputato lo millanti, comunque compromette la regolarità del futuro dibattimento».
Ma dopo una domenica mattina intensa accanto al Pontefice, la Severino è ottimista. Eccola dire: «Le parole di Benedetto XVI mi hanno dato un grande conforto e mi hanno resa ancora più convinta che si debba fare tutto il possibile e con grande determinazione». Sentire Sua Santità che parla di carcere vivibile, di misure alternative, di reinserimento l’ha ancora più convinta che la sua “manovra” sul sovraffollamento va «nella direzione giusta», quella di puntare su soluzioni alternative alla cella come i domiciliari per gli ultimi 18 mesi da scontare, come la “reclusione” a casa come pena in sé, come la messa in prova. Della sua “manovra” dice Giulia Bongiorno, la presidente della commissione Giustizia della Camera: «Il sovraffollamento trasforma la pena in tortura ed è apprezzabile che sia stata data priorità proprio a questo problema. Quanto alle camere di sicurezza la fattibilità è ancora tutta da sperimentare»
Ma quando la Severino riflette su «tutto il possibile» da fare per far calare il sovraffollamento conta anche sulle camere di sicurezza degli uffici di polizia. A cui lei ha già cambiato il nome. Lo aveva raccomandato ai suoi mentre scrivevano il decreto: «Dobbiamo chiamarle in un altro modo, mi raccomando». Poi a Napoli, mentre con la collega dell’Interno Annamaria Cancellieri andavano al San Carlo, le è venuta in mentre l’espressione alternativa: «Sale di custodia, ecco, le ribattezziamo così». Decisa ad andare avanti, anche se i distinguo le crescono intorno. Convinta che restare nelle «sale di custodia evita il trauma, ben più potente, di finire in carcere, con tutto quello che comporta, dalle umilianti perquisizioni alla stessa spoliazione».
Sarà pure, ma quelli del Pdl già puntano i piedi. Perfino un politico prudente, anche per via della sua alta carica istituzionale, come il presidente del Senato Renato Schifani non è affatto convinto: «L’intenzione è buona, ma occorre approfondirla meglio perché bisogna fare un’attenta verifica della vivibilità di queste celle nei commissariati e nei comandi delle forze dell’ordine». Ma non solo di questo si tratta. Al Pdl non va giù che, senza una consultazione preventiva, la soluzione delle camere di sicurezza, ora «sale di custodia», sia passata per decreto legge.
Decreto che non è ancora stato spedito al Quirinale in attesa delle verifiche sulla compatibilità finanziaria, ma che dovrebbe essere sdoganato in un paio di giorni. Dice Enrico Costa: «Immagino che il ministro abbia fatto un attento bilanciamento tra gli effetti positivi e gli interrogativi che suscitano queste camere di sicurezza e, ovviamente, stia tenendo conto dei pareri preoccupati delle forze di polizia. La via del decreto non aiuta affatto, perché limita la discussione, ma non esclude miglioramenti in sede di conversione. Mi auguro comunque che la Severino abbia fatto tutte le valutazioni necessarie prima di fare di un simile passo. La finalità di evitare la cosiddetta “porta girevole” è lodevole, perché il trauma dell’ingresso in carcere uno se lo tiene per tutta la vita, ma bisogna evitare che magari non ci sia un trauma ben peggiore per essere rimasti, di venerdì sera, nella cella di uno sperduta compagnia dei carabinieri…». Certo è che battute come quella di Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato – «il confronto su questi temi deve procedere con grandissima cautela» – fanno capire che la Severino dovrà utilizzare tutta la sua verve di noto avvocato per portare a casa il suo decreto.
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