IL GENERO TEDESCO
Una delle richieste del mondo all’Italia, un cambiamento nello stile di governo, Monti l’ha garantita. Per chi ha seguito la decina di conferenze di fine d’anno di Berlusconi, è una rivoluzione. Sul piano dello humour, per cominciare, siamo passati da Bombolo a Oscar Wilde. Il professore dimostra una bella dimestichezza con alcune delle virtù meno frequentate dagli uomini pubblici italiani, l’ironia e l’understatement. Il suo incedere lento, a tratti meccanico, si apre di continuo a paradossi divertenti, perfino trovate surreali.
Quando gli chiedono se riuscirà a rassicurare l’opinione pubblica tedesca, risponde citando la Suddeutsche Zeitung, «che mi ha definito il genero ideale, perché parlo poco e vesto in maniera banale. Un grande complimento per me e per i tedeschi. Direi che il più è fatto». Al lungo cahier de doleances dell’Ordine dei giornalisti, replica di conoscere la materia «avendo scritto due o tre articoli nella vita». Agli appelli degli economisti obietta «conosco anch’io un minimo di economia e capisco che la manovra ha molti inconvenienti». Quindi affronta l’ossessione dell’anno: «Vorrei dire qualcosa a proposito dello spread, forse avrete già sentito questo termine…». Ringrazia i giornalisti presenti per i molti scoop sulle intenzioni del governo: «Non di rado leggendo i giornali io stesso apprendo le cose che ho detto, un importante servizio di in house information». Un giornalista gli ricorda i continui sprechi dell’amministrazione pubblica, perfino l’acquisto recente di uova di struzzo decorate da parte di un ufficio: «Questa faccenda mi colpisce molto, non solo per le decorazioni, ma proprio per lo struzzo, che non corrisponde affatto allo spirito del nostro governo».
Se insomma il professore azzeccasse i provvedimenti come le battute, potremmo stare tranquilli. Finora è andata un po’ così. Ma certo il prestigio, il tono, il clima sono cambiati con questo presidente del consiglio. Dall’autarchia del predecessore, immerso in un perenne disagio nei vertici internazionali, dal quale cercava di uscire con bizzarrie cafone, alla naturale apertura di Monti, che chiacchiera in inglese prima della conferenza e ottiene per la prima volta la presenza della stampa estera al rito di fine anno. Dalla vergogna d’essere rappresentati in giro per il mondo da un leader definito dalla stampa anglosassone «un patetico pagliaccio», al cui confronto qualsiasi mediocre leader faceva la figura dello statista planetario, al sollievo di vedere l’immagine dell’Italia affidata a un uomo colto, competente, stimato.
Ma la vera rivoluzione di Monti consiste nel semplice fatto di dire la verità ai cittadini. Per un decennio abbiamo assistito alla conferenza stampa di fine anno come al fuoco d’artificio della balla governativa. La scommessa su quanto stavolta Berlusconi le avrebbe sparate grosse, truccato i dati, falsificato i bilanci, sventolato promesse iperboliche, veniva ogni volta polverizzata da performances costantemente oltre le peggiori aspettative. Non per caso, la più acuminata delle ironie di Monti è stata dedicata proprio al predecessore. Quando il professore, nell’omaggiare con una citazione l’ex premier, non ha potuto fare a meno di ricordare che nella conferenza stampa del dicembre 2010 Berlusconi aveva giurato solennemente che non vi sarebbero state altre manovre d’aggiustamento. «Da allora – ha precisato Monti – ce ne sono volute cinque e soltanto l’ultima porta il mio nome».
Nel bene o nel male, quella di Monti è la verità sullo stato della nazione. Sia quando non nasconde la gravità della crisi, sia quando sottolinea le possibilità di uscirne. Senza miracoli o scorciatoie, perché, citando l’ex ministro Visco «sui mercati la fiducia si perde in fretta, ma si recupera soltanto con un lungo lavoro». Per questa sincerità gli italiani, sondaggi alla mano, sono disposti a comprare da Mario Monti un’auto usata come l’attuale manovra, ma non erano più da tempo disposti a comprare le fiammanti promesse di Berlusconi, come avevano fatto per tanti anni. A quale prezzo, si vede adesso.
Si potrà obiettare che il premier è stato vago assai sulle prossime mosse del governo, la famosa «fase due». Soprattutto sulle riforme e la lotta all’evasione. Ma è anche vero che di annunci se ne fanno fin troppi, con l’unico risultato concreto di far scappare i capitali all’estero. Con quel «minimo di economia», Monti sa benissimo che quando si vogliono cambiare le cose è meglio agire prima e fare gli annunci più tardi. E’ chiaro comunque che se «gli straordinari strumenti forniti all’Agenzia delle Entrate e alla Finanza» non dovessero funzionare, si passerà direttamente alla fase tre, detta «si salvi chi può». In ogni caso è già sorprendente ascoltare un presidente del consiglio italiano che dichiara la lotta all’evasione fiscale «la priorità assoluta dell’azione di governo». Mi sbaglierò, ma mi pare proprio che sia il primo nella storia repubblicana.
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