Il dopo Cristo di Termini

by Sergio Segio | 2 Dicembre 2011 7:53

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Massimo Di Risio, proprietario della DR Motor, viene da lontano. Per carità , niente a che vedere con un Agnelli, se non una vera passione per le auto, prima da pilota e poi da concessionario Lancia di provincia. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il cinquantunenne imprenditore molisano sarebbe arrivato così lontano, al punto di rilevare la fabbrica Fiat di Termini Imerese, un pezzo di storia dell’Italia automobilistica. Né era ancora mai successo che la Fiat pagasse qualcuno tramite interposte persone (poco più di 21 milioni di euro per l’accompagnamento alla pensione di 640 operai) pur di liberarsi di una sua fabbrica, dopo aver comprato nella sua lunga storia tutti gli altri marchi con annessi siti produttivi, dalla Ferrari alla Lancia all’Alfa Romeo all’Abarth, e impedito che costruttori stranieri venissero a fare macchine in Italia. Chiedetelo alla Ford, che alla fine degli anni Ottanta si vide sottrarre all’ultimo minuto l’Alfa Romeo. Con la benedizione di Romano Prodi, allora a capo dell’Iri.
Per firmare l’accordo al ministero dello Sviluppo, Di Risio ha saltato ieri mattina la conferenza stampa al Motor Show di Bologna dove avrebbe dovuto presentare l’ultimo modello, la DRs. Proprio a Bologna, cinque anni fa, è il suo stand a far sobbalzare gli addetti ai lavori. Grande sfarzo, tanti metri quadrati pagati salati, troppi si sussurra per una piccola azienda di Macchia d’Isernia, che esordisce nel tempio delle quattro ruote d’Italia presentandosi come marchio italiano non Fiat. È l’unico infatti non inglobato nella galassia torinese, ma nessuna guerra da Torino, come si faceva ai vecchi tempi di Valletta e dell’Avvocato: Davide, anzi, commercia con Golia, comprando motori diesel Fiat per le sue vetture e oggi addirittura una sua fabbrica a costo zero. Per come sono andate le cose in oltre cent’anni di storia motoristica nell’Italia del partito unico dell’auto, è davvero un dopo Cristo, sempre a prendere per buone le parole di Sergio Marchionne.
E pensare che Di Risio consegna in ritardo la sua «manifestazione d’interesse» per rilevare Termini Imerese. La data è scaduta da pochi giorni, ma il 31 gennaio scorso si presenta lo stesso al ministero e all’advisor Invitalia. Sebbene il ministro per lo Sviluppo Paolo Romani dica che sia troppo tardi, a incoraggiare l’imprenditore molisano sono le forti preoccupazioni del ceto politico siciliano per le sorti del sito industriale nell’isola. Si vocifera di un «vai avanti» da parte del palermitano presidente del senato Renato Schifani, d’intesa con il presidente della regione, Raffaele Lombardo, che pubblicamente si dirà  poi a favore dell’altra proposta automobilistica di Gian Mario Rossignolo e della sua resuscitata De Tomaso (nel frattempo, finisce fuori strada la terza di Simone Cimino, appoggiata dagli indiani di Reva poi comprati da Mahindra). Alla fine, Di Risio sorpassa Rossignolo e porta a casa Termini, dopo averci provato (senza essere preso in considerazione) con la Bertone, poi rilevata dalla Fiat, ed essere stato respinto alla Irisbus di Avellino, questa volta dai sindacati e nonostante la Fiat si fosse già  detta disponibile a regalarla mettendoci sopra pure dei soldi. I sindacati sollevano seri dubbi sulle potenzialità  di crescita della DR Motor: ma come fa Di Risio a rilanciare due fabbriche, quando in casa vende automobili plurimarche e assembla modelli di provenienza cinese mettendo insieme motori Fiat, cambi fatti in Austria ed elettronica Bosch, per immatricolare nel 2010 poco meno di 5.000 vetture?
Di Risio preferisce non rischiare il colpo grosso siciliano e si fa da parte ad Avellino. È uno che comunque vede lungo. Frequenta la Cina da quasi un decennio alla ricerca di accordi e nel 2003, a Wuhu, nel sud del paese, ne trova uno con Chery, costruttore cinese nato nel 1997 e in forte espansione. Da Chery, DR Motor dopo tre anni importa e assembla modelli cinesi, adattandoli al mercato italiano per venderli a prezzi concorrenziali e con un marketing aggressivo, sua l’idea di piazzare il suv DR5 negli ipermercati. Il tutto avviene a Macchia d’Isernia, in un capannone dove lavorano circa 200 dipendenti, esclusivamente non sindacalizzati (in Sicilia sarà  un’altra storia). Chery non è un produttore qualsiasi: oggi è il primo cinese per export, è partecipato dallo stato e ha un passato turbolento di collaborazione con gli stranieri, dalla Volkswagen alla Gm, alla Daewoo con accuse di plagio della piccola Matiz (disegnata da Giugiaro) fino alla Fiat. DR pare abbia un destino intrecciato con il Lingotto: mentre Di Risio importa quattro modelli cinesi via nave, Chery viene individuato da Sergio Marchionne come possibile partner per una joint venture in Cina. Ma nel 2008, gli uomini Fiat lasciano le trattative sbattendo la porta quando si accorgono che i cinesi discutono in contemporanea in qualche stanza più in là  anche con la Chrysler.
Nel futuro di Termini Imerese, Chery ufficialmente non è contemplata. Di Risio dice che l’operazione è tutta sua e che l’alleato cinese resterà  a casa. Eppure, Chery è la variabile dipendentissima di un progetto che sulla carta traballa parecchio – DR promette di produrre in Sicilia 60.000 vetture entro il 2017, nonostante un mercato italiano ai minimi storici, un mercato europeo debole e la recessione alle porte; tant’è che la Fiom di Maurizio Landini insiste con molte ragioni perché Regione Sicilia e Invitalia tengano una mano ben stretta sul volante per controllare da vicino come Dr spenderà  i soldi pubblici per la rinascita del sito. Chery ha già  insediamenti produttivi fuori dalla Cina, dall’America latina al Medio oriente, passando per la Russia, l’Ucraina e l’Iran. Termini Imerese potrebbe essere la sua prima base in Europa occidentale, seppur decentrata o comunque utile per l’export nel Mediterraneo. Chery è già  in Egitto, ha appena concordato una joint venture in Israele, mentre le primavere arabe stanno aprendo nuove porte all’espansionismo cinese. Nell’ottobre scorso, un suo dirigente ha annunciato che Chery comincerà  a esportare in Europa – sempre via nave dalla Cina – a partire dal 2015. Dalla Sicilia, anche senza ponte di Messina, farebbe molto prima. 5000
AUTO IMMATRICOLATE Tante sono le vetture prodotte dalla DR Motor di Massimo Di Risio nel 2010. Ora l’imprenditore molisano promette di produrne 60.000 entro il 2017.

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