Il direttore alla guida di 400 ragazzi “La musica riscatta la Calabria”
C’è chi sta già sognando: sarebbe bello, per esempio, se la data prescelta fosse il 2 giugno, festa della Repubblica, magari col presidente Napolitano, il prefetto e i carabinieri nella cui Piazza d’Armi – è già deciso – si terrà l’attesissimo concerto… ma alla fine va bene qualunque giorno, purché ci sia il venerato maestro. Sì, perché la notizia è che Riccardo Muti in primavera (il giorno lo deciderà una volta finita la stagione a Chicago) dirigerà nella Piazza d’Armi della Scuola dei Carabinieri di Reggio Calabria qualcosa come 400-500 ragazzi, tutti musicisti in 90 e più bande calabresi. Una cosa straordinaria, civile prima ancora che artistica, una promessa per il futuro di cui si è fatto testimonial il celebre direttore.
Perché dietro al concertone di primavera c’è una Calabria diversa da quella della ‘ndrangheta, della corruzione, del compiacimento nell’illegalità , una Calabria che sta attraversando una sua piccola rivoluzione culturale: a Lamezia dove il sindaco ha sostenuto un bel progetto teatrale con gli attori di Punta Corsara e delle Albe di Ravenna che hanno lavorato con studenti lametini e rom, e qui a Reggio Calabria con la musica delle bande che è sempre stata una tradizione locale, ma è diventata un messaggio travolgente da quando Riccardo Muti ci si è messo di mezzo. «Per me tutto è partito nel 2006 – ricorda oggi il maestro – Ero a Reggio Calabria con l’orchestra Cherubini. Mi si presentò un signore che mi parlò di giovani musicisti di una banda di un paese dell’Aspromonte messa su da un farmacista per togliere i ragazzi dalla strada. Ero lì con un’orchestra di giovani, mi sembrò che ci fossero elementi comuni. Così fissai un incontro. Si presentarono una sessantina di ragazzi in uniforme, come si conviene alle bande. Può sembrare astruso, ma la compostezza con cui presero posto sulla pedana, l’intensità di partecipazione, mi colpirono. Suonavano anche bene. Non me ne dimenticai e dopo due anni li feci invitare al Ravenna Festival dove li ho diretti la prima volta».
Da quel momento le bande giovanili calabre sono diventate un fenomeno inesauribile, un vero boom. «Non c’è paese della provincia di Reggio Calabria che non abbia una banda giovanile, le classiche da sfilata, ma la maggior parte vere e proprie orchestre di fiati dirette per di più da maestri professionisti – dice Eduardo Lamberti-Castronovo, assessore provinciale alla Cultura di una giunta di centrodestra («più all’opposizione del centrosinistra», come dice lui per marcare la distanza dal discusso governatore Scopelliti), gran sostenitore di questa rinascita musicale – Si suona a Delianuova, Bagnara, Campo Calabro, Scilla, Polistemo… A Laureana di Borrello, il sindaco ha dato ai ragazzi un vecchio convento ora diventato la scuola di musica per tutto il circondario. A Delianuova ne sta sorgendo un’altra. A Locri c’è una scuola di musica tra le mura del vecchio carcere. La Provincia di Reggio sta per varare una sua orchestra giovanile. La cosa bella non è solo che i ragazzi sono diventati protagonisti della vita culturale, ma che la politica e le istituzioni se ne sono finalmente accorte».
«Io sono sempre stato un sostenitore delle bande – dice il maestro Muti – Anni fa quando molte chiudevano mi sono speso per salvarle. Ritengo che abbiano avuto una importanza culturale nel nostro paese e molta cultura lirica e sinfonica viene portata dalle bande musicali nelle piazze dei paesi. Io stesso il venerdì santo da ragazzo a Molfetta seguivo le processioni ascoltando le bande. Lo Stabat Mater di Rossini o la Marcia funebre dell’Eroica le ho ascoltate le prime volte con le bande che sono vere orchestre anche se di soli fiati. E non dimentichiamo l’influenza che hanno avuto su Verdi. E poi, dico la verità , quando ho sentito parlare di bande di ragazzi in una terra dove in genere si parla di bande di altro tipo, mi è sembrata una cosa da premiare».
Il concertone di primavera sarà un vero regalo per quei giovani musicisti. «Mi creda non sono io che faccio un regalo a loro, ma sono loro che mi stanno dando un segnale straordinario – continua il maestro – Amare la musica, che è parte essenziale della storia del nostro paese, è una conquista culturale». Non c’entra solo il discorso che Riccardo Muti persegue da anni sui giovani e l’insegnamento musicale in Italia («bisogna girar pagina: non si deve insegnare la musica strimpellando un pifferino, ma insegnando ad ascoltare la musica, a come orientarsi nella foresta dei suoni»), ma la sua idea che la musica sia educazione morale oltre che artistica. «Quando da bambino per San Nicola mi regalarono il violino fu una mazzata: significava che, come per i miei fratelli, mio padre voleva che anch’io studiassi musica. E così mentre io studiavo sul violino, guardavo dalla finestra i ragazzini che giocavano a pallone. Ma poi qualcosa è successo e oggi so che la musica mi ha cambiato la vita. Mi ha insegnato che, come diceva Orazio, “la vita non dà nulla agli uomini se non a prezzo di duro lavoro”. Ma mi ha anche insegnato a vivere con gli altri, perché quando strumenti diversi devono armonizzarsi e fare sì che ognuno si esprima senza uccidere gli altri, è l’abc del vivere sociale. E infatti sa qual è la grande soddisfazione che questa esperienza calabrese mi ha già dato: quando mi hanno raccontato che a Lamezia e a Lauretana ragazzi di famiglie che da anni alimentavano le faide, stavano uno accanto all’altro sullo spartito, dimostrando ai loro genitori come è facile collaborare».
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