by Editore | 16 Dicembre 2011 8:58
«Nessuno si aspetta miracoli», ha detto Josè Manuel Barroso. Un miracolo però, Mario Monti deve farlo davvero: obbligare a tutti i costi gli enti locali a bilanci che siano seri, leggibili, onesti: come è possibile che tenere un bimbo in un asilo nido laziale costi il doppio che in uno lombardo?
Quello degli asili nido è un caso da manuale per spiegare come il primo in assoluto dei problemi italiani, quasi quasi più ancora del debito colossale, sia il riordino dei bilanci. Tant’è che Stefano Pozzoli, docente alla Parthenope considerato tra i massimi esperti del ramo, se n’e servito anche in una audizione in Parlamento: «La pubblicazione di dati comparativi può rappresentare uno strumento estremamente efficace per stimolare l’efficienza attraverso il controllo democratico dei cittadini».
Questo è il nodo: sarà impossibile riordinare i conti pubblici senza fissare dei paletti sul «come» le regioni, le province (per il tempo che resteranno in vita) e i comuni devono gestire i soldi. Se i genitori dei bimbi affidati agli asili nido italiani vedessero le tabelle dell’Istat, infatti, resterebbero basiti. I costi, infatti, sono così abissalmente diversi da dimostrare in modo accecante una cosa sempre più chiara: l’autonomia regionale è stata vissuta da molti come totale libertà anarchica di spesa senza rispetto per alcun parametro. Così, a capriccio. E senza alcun rispetto per la veridicità dei numeri.
Per cominciare non tornano i conti sul servizio alle famiglie: se da Vipiteno a Lampedusa c’è in media un posto negli asili nido ogni 394 abitanti, la distribuzione delle strutture sul territorio è infatti diversissima. Ai vertici, nella scia di quella tradizione che spingeva i dirigenti del Pci a vantarsi per gli elogi ricevuti perfino dai giornali americani, c’è l’Emilia-Romagna: un posto ogni 156 residenti. In coda, anche qui nella scia di una tradizione che ha sempre caricato il peso dei figli sulle spalle delle donne, c’è la Campania (uno ogni 2035) e soprattutto la Calabria: uno ogni 2145. Cioè, in proporzione, un quattordicesimo. Se poi guardassimo alla superficie territoriale, le mamme calabresi avrebbero buoni motivi per essere furenti: le madri emiliane e romagnole hanno un posto negli asili nido ogni 788 metri quadrati, loro ne hanno uno ogni 16.094. Sarà poi un caso se il tasso di occupazione delle donne è in Emilia Romagna del 54%, in Calabria del 30 e in Campania addirittura del 25%?
Non meno sbalorditivo, però, è il divario tra quanto spendono per ogni posto gli utenti e i comuni. Il contributo chiesto alle famiglie di ogni bambino ospite nelle strutture pubbliche municipali è schizofrenico. E va dai 509 euro in Calabria ai 2238 (quattro volte di più) in provincia di Trento, con sbalzi difficili da giustificare anche tra regioni vicine o addirittura confinanti: come mai pagano 1061 euro l’anno i genitori di un bimbo ligure, 1923 quelli di uno piemontese e 1958 quelli di uno lombardo? Vale anche per il Mezzogiorno: 1115 euro di spesa annuale per i padri e le madri lucani, 794 per quelli pugliesi, 654 per quelli campani, 509 per quelli calabresi.
Che cosa può mai giustificare sbalzi del genere se non una inaccettabile mancanza di coordinamento di chi se ne infischia di quanto fanno gli altri e anzi si augura che i propri cittadini rimangano ignari del divario? Mettetevi nei panni di un padre di Castrocucco, provincia di Potenza: perché dovrebbe pagare più del doppio del contributo di un padre che sta a poche centinaia di metri ma al di là dell’omonima fiumara che segna il confine con il Comune di Tortora Marina, in Calabria?
Quanto all’indice di copertura territoriale del servizio, (compresi gli asili nido privati convenzionati) il picco massimo per l’anno 2010 è in Emilia-Romagna (98,2 per 100 bambini sotto i due anni residenti), davanti al Friuli Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta (95,6), alla Toscana (93,6), alla Liguria (92,6) e giù giù fino a Mezzogiorno, dove la copertura si inabissa a 48,8. Per non dire della Calabria (44,2), del Molise (40,9) e della Campania: 36,5.
Non meno abissali sono le differenze sui soldi chiesti alle famiglie dei piccoli ospiti: i genitori lombardi contribuiscono alle spese del servizio per il 27,4% e i laziali per l’8,2; i veneti per il 22,5% e i siciliani per il 5,7. Che senso ha? La media per i genitori del Nord-Ovest è del 23,6%, per quelli del Mezzogiorno dell’11,8. E meno male che la percentuale è alzata dai lucani, che pagano una quota «nordista» del 23,6%. Se no sarebbe ancora più infima. Stesso discorso vale per il Centro, dove i marchigiani (27,1%) e i toscani ( 21,9) impediscono di sprofondare all’indecorosa percentuale che galleggia al 14,7.
La tabella più stupefacente, però, come dicevamo, è quella sulla spesa procapite che tiene insieme i costi a carico del Comune, le tariffe pagate delle famiglie e i contributi del Servizio sanitario nazionale. I conti, infatti, non tornano assolutamente. Basti dire che ogni posto-bimbo costa 8874 euro in Piemonte e 10.833 in Val d’Aosta, 7904 in Veneto e 11.399 nel Trentino, 8521 in Emilia-Romagna e 10.243 in Liguria, con sbalzi vistosi. Che diventano assurdi nel confronto tra, ad esempio, la Lombardia (7036 euro a posto-nido) e il Lazio: 14.557. Il doppio abbondante.
Una differenza inspiegabile. Inaccettabile. Che Stefano Pozzoli utilizza per fare una simulazione. Partiamo da un dato: negli asili nido italiani per i piccoli con meno di due anni secondo gli ultimi dati (2009-2010) esistono 154.334 posti. Se costassero tutti quanto quelli laziali ne avremmo solo 92.736, cioè un terzo di meno. Se viceversa costassero tutti quanto quelli lombardi ne avremmo 188.773, cioè oltre trentamila in più.
Fin qua, spiega lo studioso, i dati plausibili. Poi ci sono quelli «cervellotici»: ma davvero in Calabria, dove i servizi scolastici e assistenziali sono drammaticamente inferiori alla media del resto del paese, la spesa pro capite per ogni bambino ospite è di 3821 euro e cioè «virtuosamente» dimezzata rispetto agli efficientissimi asili nido emiliani? «Per me c’è una sola spiegazione: non sono attendibili. Mettono i numeri così, un po’ a caso e nessuno controlla. Come accadde qualche anno fa quando il Sole 24 Ore cercò di misurare l’assenteismo negli uffici pubblici». Alcuni risposero coscienziosamente, altri così, alla grossolana. Il risultato fu epocale: i «fannulloni» risultavano concentrati a Trento e a Bolzano, gli stakanovisti dalla salute di ferro a Siracusa e a Napoli. Ma dai!
Il che pone un problema non solo a Mario Monti ma a tutti noi: come possiamo risanare i conti dell’Italia partendo da dati così platealmente sballati? Prendiamo il caso citato degli asili nido: vogliamo dire che il «costo standard» al quale uniformarsi deve essere quello calabrese? Mah…
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