Il Cairo messo a ferro e fuoco

by Editore | 20 Dicembre 2011 8:12

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La battaglia tra militari e rivoluzionari continua. Ai lanci di molotov degli attivisti della prima linea, i giovani militari rispondono con un’intensa sassaiola dai tetti dell’Institut d’Egypte, dato alle fiamme sabato. Laser verdi fluorescenti degli ultras della squadra di calcio dell’Ahli illuminano i militari che lanciano pietre dai tetti. Alcuni giovani raccolgono spiccioli per fabbricare nuove bottiglie molotov, mentre vengono distribuiti elmetti e mascherine. In via Sheikh Rihan, intorno al ministero degli Interni, e in piazza Talaat Harb, gruppi di manifestanti chiedono la «testa» del maresciallo Hussein Tantawi. Mentre il Consiglio militare (Scaf) si chiude dietro nuove mura di difesa. 
Non bastano i blocchi di cemento che chiudono la via Mohammed Mahmoud, centro degli aspri scontri pre-elettorali. Un alto muro chiude anche via Kasr Al Aini, sede del palazzo del Governo, incendiato lo scorso venerdì, e via Sheikh Rihan, dove si svolgono gli scontri in queste ore. Per placare gli animi, nella mattina di lunedì, i parlamentari liberali eletti Amr Hamzawi, Mustafa Al-Naggar e il blogger Wael Ghonim hanno tentato di negoziare una tregua con i manifestanti. Tre attivisti sono stati uccisi negli scontri di domenica notte dalla polizia militare e dalla Sicurezza centrale nel tentativo di un nuovo sgombero di piazza Tahrir. Gli scontri sono proseguiti anche per la notte di sabato, mentre gli stessi giovani, che avevano partecipato alla sassaiola con l’esercito nei pressi dell’Istituto francese, sono entrati nell’edificio per mettere in salvo le collezioni napoleoniche di libri e mappe. 
«Le elezioni sono state una farsa – ci racconta il giornalista Omar Saeed bendato per una ferita da pietra all’occhio – Anche parlamentari sono stati colpiti negli scontri». È il caso del giovane parlamentare Zyad El Aimi eletto con Tamnia o Islah, Sviluppo e riforma, partito di Mohammed El-Baradei. Da venerdì sono stati arrestati 163 attivisti, mentre centinaia sono i feriti lievi che vengono trasportati di continuo a braccia per le vie del centro. 
Gli attacchi a giornalisti di Masri el Youm, Al Ahram, operatori televisivi egiziani, stranieri e documentaristi sono proseguiti fino ad oggi con particolare intensità . Ha subito minacce di arresto l’editore di Merit, Mohamed Hashem, per aver dato alloggio a manifestanti feriti. Se il Segretario di stato Hilary Clinton ha sollevato critiche sull’uso eccessivo della violenza, il Consiglio militare non ha alcuna intenzione di cedere alle minacce dei manifestanti. Il Generale Maggiore Adel Emara, ritenendo necessario l’uso della violenza da parte di soldati, «eroi», contro i lanci di molotov degli attivisti, ha denunciato un piano dei manifestanti per mettere a ferro e fuoco il parlamento. E così, se le rivolte in Egitto sono state un tentativo del popolo di riappropriarsi degli spazi pubblici, la battaglia di posizione tra rivoluzionari e militari entra ora nel vivo. 
È in gioco il ruolo dell’esercito nel nuovo Egitto. Per i rivoluzionari, bruciare i simboli dello stato equivale a cancellare definitivamente centri del potere che agiscono in continuità  con il regime di Mubarak. D’altra parte, dopo il quarto giorno di scontri di piazza, è passato inosservato l’annuncio del risultato del secondo round delle elezioni parlamentari. Il voto a Giza, Suez, Asswan, Munufeya e altre province conferma la schiacciante vittoria di Libertà  e giustizia, principale partito vicino ai Fratelli musulmani, con il 37% delle preferenze. Il partito salafita El Nour, si attesta tra il 20 e il 25%, confermando l’incredibile risultato del primo round fuori dalla roccaforte di Alessandria. Kotla el Masria, la coalizione che va dai liberali di Naguib Sawiris, ex magnate di Orascom, ai socialisti del Tagammu, si conferma il terzo partito. Deludente il risultato di Wasat, partito moderato e liberale, che non avrebbe ottenuto neppure un seggio. Dopo il passo indietro della Fratellanza, che ha spinto perché le elezioni si svolgessero regolarmente, cresce la distanza tra politica e piazza. Il «6 aprile» e Kifaya!, movimenti che avevano continuato, dopo il primo round elettorale, un sit-in pacifico avanti alla Camera, hanno sempre più la forma di gruppi di resistenza extraparlamentare. Mentre l’ala sinistra di Libertà  e Giustizia, guidata da Abou el-Fotuh, rinunciando alla nascita di un partito riformista, potrebbe essere il principale candidato dei Fratelli musulmani per le presidenziali.

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