I sacrifici più pesanti Restano tre domande

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Non credevamo possibile la cancellazione delle pensioni d’anzianità ; l’aumento dalla sera alla mattina di 5-6 anni dell’età  per andare in pensione; dover lavorare fino a 70 anni; subire il taglio della pensione se si va via prima di 62 anni, pur avendo più di 42 anni di contributi. Fino a ieri ciascuno di noi ha visto parenti, amici e conoscenti andare in pensione a 55-58 anni e anche prima. Non erano preparati i singoli, cioè i lavoratori e le loro famiglie, ma neppure le imprese, che hanno ottenuto una riforma più severa di quanto loro stesse abbiano mai chiesto.
Mettiamo pure che tutto ciò fosse inevitabile. Resta il fatto che da ora in poi chi andrà  in pensione pagherà  il conto di un regalo più o meno generoso che è stato fatto finora a milioni di lavoratori andati in pensione a età  troppo basse e con un sistema di calcolo, il retributivo, che restituiva spesso molto di più rispetto ai contributi versati: dai baby pensionati, mezzo milione dei quali ancora in pagamento, a tutti i 55enni-58enni che riceveranno l’assegno per almeno 25 anni. Alcune domande sembrano allora obbligate. La prima riguarda il passato. Per un governo tecnico, in nome dell’equità , sarebbe stato improponibile chiedere un sacrificio a chi ha ricevuto questo regalo, cioè un modesto contributo, escludendo ovviamente gli assegni bassi, come è stato deciso per i soli pensionati dei fondi speciali (elettrici, telefonici, volo, dirigenti) che verseranno tra lo 0,3% e l’1% dello stipendio? Altre due domande toccano il futuro. Se le aziende dovranno tenere i lavoratori fino a 66-70 anni d’età  o 42-46 anni di contributi, subiranno di regola un aumento dei costi, in termini di retribuzioni e di minore produttività . Probabilmente reagiranno dichiarando più spesso esuberi. Che strumenti si intendono mettere in campo per evitare ai lavoratori che dopo aver detto loro che devono produrre fino a 70 anni, a 60-65 vengano buttati fuori perché non servono più? In quel caso chi e come li risarcirà ?


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