I quaderni inediti di Guttuso

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A S. Maria Novella si conserva il quadro della Trinità . […] Nel centro Cristo mentre dall’alto tende l’eterno padre con le braccia aperte per raccogliere il figlio. Dinanzi alla croce Maria e Giovanni e presso le colonne scannellate il committente in ginocchio insieme alla moglie. Racconta Flora Butitta: «Quando nel 1945 morì la madre, Renato non poté partecipare ai suoi funerali. La casa fu liberata dal proprietario e alcuni effetti personali vennero affidati al podestà . Dopo qualche tempo Renato tornò a Bagheria per ritirarli. Insieme al pittore Garajo, io lo aiutai. Fu per questo che mi regalò i suoi quaderni di scuola, per sdebitarsi». Per lei «sono solo un ricordo», ma quegli otto quaderni ora ritrovati raccontano molto dell’artista siciliano, una parte importante della sua esistenza, un periodo tra i meno conosciuti, di certo il più determinante per la formazione delle sue idee sull’arte e sulla vita. Anni di povertà  e di speranza. Di forti ideali e di scelte obbligate. Di passioni e d’incertezze. 
Tutto ha inizio a Bagheria, un paese di mille casette e una decina di sontuose ville nobiliari, il giorno di Santo Stefano del 1911. Ma Gioacchino e Gina, i genitori, vogliono regalare al piccolo Aldo Renato Guttuso una settimana di vita e lo registrano all’anagrafe di Palermo solo il 2 gennaio 1912. 
Il primo ricordo di Guttuso bambino è drammatico. Un colpo di lupara rimbomba nel vicolo sotto casa, dietro corso Butera. Dal balconcino, ornato di vasi di gerani, Renato vede un uomo cadere a terra, morto. La violenza della sua terra gli entra dentro per la prima volta, lasciando un’impronta indelebile sulla sua sensibilità . La seconda scoperta di Renato è quella di avere due genitori molto diversi tra loro. La madre è una donna semplice, che vorrebbe imporgli un’educazione cattolica. Ogni giorno cerca di trascinarlo a messa, in Cattedrale. Il padre è invece un anticlericale, figlio di un garibaldino mazziniano, un uomo dai modi eleganti e raffinati che ama l’arte, scrive di teatro e di cinema. È un agrimensore e porta spesso con sé il figlio in giro per i campi insegnandogli ad amare «l’umanità  dolente e disperata» della Sicilia. 
Appena adolescente, Renato è di casa al circolo anarco-socialista “Filippo Turati”, fondato da Ignazio Butitta a Bagheria, dove si pubblica il foglio La povera gente e si organizzano le manifestazioni dei braccianti. È la sua prima scuola di antifascismo, proprio negli anni in cui il regime di Mussolini si va consolidando. A dodici anni scopre davanti alla nuova casa di corso Diaz, sempre a Bagheria, «una miniera di colori, segni e figure»: è la bottega di Emilio Murdolo, pittore di carretti siciliani, suo primo maestro. Da quel momento Renato inizia a sfogliare con passione i libri d’arte del padre, futura fonte d’ispirazione per i quaderni del liceo. 
Intanto in casa Guttuso si tira la cinghia. La madre sogna «il figlio avvocato» e vede l’innamoramento del ragazzo per l’arte come un ostacolo alle proprie ambizioni. Gioacchino, fine acquerellista, incoraggia invece la passione del figlio e gli suggerisce di frequentare gli altri artisti locali. Renato dà  ascolto alla madre, continua a studiare e nonostante le difficoltà  economiche viene iscritto al liceo classico Umberto Primo di Palermo. Ma già  a quindici anni inizia anche a scrivere di arte sul primo dei suoi quaderni ora ritrovati, e apre il suo primo studio nel piccolo abbaino che si affaccia sul terrazzino di casa con vista sul golfo. Presto questo spazio angusto, ma panoramico e soleggiato, diventa una “factory” frequentata dai giovani artisti come Nino Franchina, Giuseppe Barbera, Nino Garajo, e anche da Topazia Alliata di Salaparuta, giovane ed esuberante duchessa, che studia all’accademia d’arte e dipinge con talento. I due diventano inseparabili, e si innamorano. Renato si presenta al padre di Topazia a Villa Valguarnera, e chiede ufficialmente al duca il permesso di frequentare la figlia. Iniziano le incursioni dei due giovani a Palermo sulla veloce limousine guidata dallo chauffeur sudanese del duca di Salaparuta. Non pensano ci siano grandi differenze tra loro, ma quando il gruppo di artisti si riunisce sulla terrazza di corso Diaz a parlare di arte e di futuro, la madre di Renato non può offrire loro che una piccola fetta di melone per ciascuno. 
Il giovane, di idee antifasciste, a Palermo si trova a fare i conti con un’altra realtà . Incontra un grande maestro di pittura nel futurista Pippo Rizzo, uno degli artisti di punta del movimento di Marinetti, che predica la rivolta contro Giotto, Raffaello e Tiziano. Ma il giovane Guttuso non la pensa allo stesso modo. Decine di pagine dei suoi quaderni sono dedicate non solo ai grandi della pittura antica, ma anche ai cosiddetti “minori”, che per lui “minori” non sono. I quaderni del liceo si riempiono di più di cento tra schizzi, disegni, studi di figure, che ora attendono di essere esaminati in modo approfondito. Tutte le altre materie lo interessano assai meno e i voti in pagella sono appena accettabili. Renato vorrebbe disegnare e dipingere, dipingere e disegnare. Sono proprio i suoi quaderni a riportare quest’urgenza, questa pulsione. Illuminano un mondo fatto di grandi passioni, ma anche di scelte difficili e non più rinviabili. «Non è più il tempo – scrive – dei giardini di limoni, delle notti di luna e dei discorsi antichi dei contadini di Bagheria». Non è più il tempo di far convivere pacificamente il “libero pensiero” del padre e il conformismo della madre. C’è una vita da «vivere accanitamente». Ma quale, e dove? 
Il giovane Renato legge i discorsi di Lenin sugli opuscoli dell’Avanti! diffusi clandestinamente. Sui quaderni di scuola compare una piccola falce e martello, vicino a figure indistinte e al disegno di un ometto trasfigurato alla George Grosz. Disegno autografo o forse frutto collettivo della “factory” bagherese. Compare anche un’annotazione, probabilmente dello stesso Renato, ma con calligrafia stravolta: «Renato Guttuso Bagheria, disegna meglio con la mano sinistra…».
Frequenta il coetaneo Franco Grasso, attentamente osservato dalla polizia politica fascista, animatore di un gruppo che si svilupperà  nel Fuai, il Fronte unitario antifascista d’ispirazione comunista. Ma poi, quando si iscriverà  alla facoltà  di legge per volontà  della madre, per usufruire dei servizi assistenziali e per poter partecipare alle esposizioni pubbliche deve accettare la tessera dei Guf, i Giovani universitari fascisti. 
Sono gli eventi che decidono per il ventenne. Solo dopo alcune mostre nel continente e il successo ottenuto da due opere esposte alla Prima Quadriennale di Roma, nel 1931, Renato decide che non diventerà  mai un avvocato. Abbandonerà  gli studi universitari e partirà  per la capitale. Ormai ha in testa una sola cosa: fare l’artista. E artista diventerà , sarà  l’artista di punta della sinistra italiana, il pittore acclamato ma anche criticato, l’amico di Picasso ma anche il difensore del realismo, l’uomo che amava i trasgressori ma che trasgressore non era. Perennemente al bivio nei suoi primi vent’anni, scelse infine il Pci.


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