by Editore | 31 Dicembre 2011 7:36
Addirittura lo stesso arrivo dell’eroe dei due mondi fu annunciato a Palermo da Orlando che nel mezzo di un cunto si presentò con la fascia tricolore a tracolla. Il grande maestro nazionale, del cunto e dei pupi, Mimmo Cuticchio, aveva pensato di festeggiare l’anno scorso, 2010, i 150 anni dello sbarco dei Mille a Marsala, con un racconto fatto con le sue miracolose creature. Le disfunzioni della regione Sicilia, che prima aveva promesso il proprio intervento poi si è impantanata nelle sua burocrazia, hanno fatto sì che Cuticchio presenti solo con il proprio impegno produttivo, e solo ora, la sua creazione, che risulta per altro una «coda» sfolgorante al centocinquantenario dell’unità italiana.
O a Palermo o all’inferno (al Teatro studio dell’Auditorium al Parco della Musica) diviene così una nuova epica avventura per Cuticchio, un modo per avvicinare dai Paladini di Francia all’ottocento le sue narrazioni, che si prestano così a proiettarsi ancor più nitidamente sull’oggi. Lui, con l’abituale modestia che lo rende ancor più autorevole, è sempre al centro della scena: ma qui, oltre al teatrino dei pupi, soffia il respiro di un teatro all’italiana con tanto di sipario; vi aprono squarci e scenari come fossero sequenze di un film; entrano in scena altri «opranti» a muovere quelle meravigliose creature di legno e stoffe preziose, alla cui fattura collabora l’intera genìa dei Cuticchio, una vera patriarcale radice del teatro italiano.
La narrazione procede sul binario della musicalità , che ogni tanto si impenna nei toni del cunto; Cuticchio fa le diverse voci e basta un suo gesto del braccio a cambiare scenario. Perché mentre monta l’epica della battaglia di Calatafimi e dell’ingresso a Palermo, non mancano gustose controscene su quanto si dicono i preoccupati Cavour e Vittorio Emanuele II, oppure le reazioni a ritmo di valzer alla corte napoletana dei Borbone (che pare la citazione «a rovescio» del ballo viscontiano del Gattopardo).
Sono oltre 60 i pupazzi che in scena prendono vita, e una decina i loro misteriosi operatori, in un percorso che va a chiudersi trionfalmente, con tutte le contraddizioni che il racconto non ha nascosto, nelle struggente inno di Mameli suonato da una fanfara di paese. Una grande chiusura emotiva, dopo una bella lezione sui fondamenti del nostro paese, attraverso il teatro.
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