by Sergio Segio | 9 Dicembre 2011 9:06
L’età al primo rapporto sessuale si è fortemente abbassata tra le ragazze, divenendo simile a quella dei ragazzi, attorno ai 17 anni. Ma i genitori non sono sempre attrezzati a preparare i figli, soprattutto le figlie, a questo passaggio, anche con le necessarie informazioni su come proteggersi dai rischi, sia di gravidanza sia di altro genere. Parlarne sembra un modo di incoraggiarle e perciò si preferisce tacere e ignorare, salvo trovarsi ancora più impreparati quando l’impensabile e indicibile accade.
La vicenda dei genitori trentini che trascinano in tribunale la figlia sedicenne perché le sia imposto di abortire, o, in subordine, le sia impedito di riconoscere il figlio e di avere rapporti con il padre (albanese), apre una serie di cortocircuiti mentali ed emotivi non facili. Ciascun genitore può identificarsi nella preoccupazione per il futuro di una figlia adolescente avviata ad una maternità precoce, che si teme le precluda ogni possibilità diversa. Può riconoscersi anche nella preoccupazione, persino l’ostilità , per un rapporto d’amore con un uomo ritenuto non adatto. Un uomo che certo non ha mostrato molto senso di responsabilità , lui maggiorenne, nell’avere rapporti sessuali non protetti, mettendo così incinta la ragazza senza preoccuparsi delle conseguenze che ciò poteva avere per il futuro di questa e del bambino che nascerà .
Ma la possibile identificazione finisce qui. La pretesa di obbligare la figlia ad abortire, anche con il sostegno del tribunale, è contro la legge e il diritto inalienabile della giovane donna al rispetto della propria integrità personale ed espressa volontà . E la pretesa che non veda più il suo fidanzato ricorda a parti invertite la violenza di quei genitori e fratelli che, in nome delle norme e consuetudini tradizionali della loro comunità ostacolano – talvolta fino alla morte – le figlie e sorelle che hanno rapporti d’amore al di fuori delle regole e dei confini da loro stabiliti. Le procedure sono più civilizzate e le conseguenze meno drammatiche per la ragazza, per fortuna. Ma la pretesa è la stessa.
Non sappiamo se l’accusa di plagio rivolta all’uomo per ottenere un ordine del tribunale che gli impedisca di avvicinare la ragazza abbia fondamento, o invece sia solo un ultimo, disperato, tentativo di impedire che il legame continui. Se davvero i genitori trentini hanno elementi per ritenere che quell’uomo non solo è, secondo il loro giudizio, inadatto per la figlia, ma gravemente pericoloso per la sua autonomia psicologica ed emotiva, di questo avrebbero dovuto e dovrebbero preoccuparsi in prima battuta, non in subordine. Avrebbero dovuto rivolgersi al tribunale per proteggere la libertà e l’autonomia di giudizio della figlia, non per chiedere, in prima battuta, che li aiutasse a violarla imponendole l’aborto.
Se invece non ci sono elementi per sostenere una denuncia di plagio, o di qualche altro tipo di violenza, dovrebbero accettare la scelta della figlia e sostenerla in questo difficile passaggio, se è il suo bene e la sua crescita che hanno a cuore. Il giovane albanese, maggiorenne, avrà il diritto, aggiungo il dovere, di riconoscere il figlio e di assumersene la responsabilità , dimostrando di esserne capace. Raggiunta la maggiore età , anche la ragazza avrà il diritto di riconoscere il figlio che ha deciso di far nascere, che abbia o meno continuato il rapporto con il giovane. Speriamo che questo bambino abbia anche dei nonni che lo hanno accolto per amore della sua mamma.
Genitori preoccupati del benessere della figlia, anche se non ne condividono le scelte, possono solo predisporre un ambiente e un clima relazionale in cui questa possa vivere la propria scelta non come una condanna a vita ma come un passaggio importante, che richiede tempo di elaborazione, non alternative che non lasciano via di uscita. Vietare e ostacolare non è una via efficace, specie in presenza di un evidente bisogno di affetto e riconoscimento.
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