by Editore | 27 Dicembre 2011 8:00
NEI giorni del declino dell’Unione Sovietica, trascorsi molto tempo in un complesso di alti palazzoni lungo la Moscova a sviscerare una questione che mi pareva di importanza cruciale in relazione al futuro: la Russia avrebbe mai saputo dar vita a un’autentica classe media? Non intendevo una categoria di privilegiati, agevolati dallo Stato.bensì persone indipendenti e realizzate, in grado di diventare il motore trainante e la prova vivente della mobilità verso l’alto.
Quel complesso di condominii sul fiume era il prodotto di un classico progetto scervellato della Lega comunista giovanile, destinato ad alleviare la penuria di alloggi. Giovani e promettenti professionisti presso importanti aziende statali – nel caso specifico erano in buona parte scienziati nucleari e ingegneri spaziali – ricevevano permessi per assentarsi per mesi dal lavoro e partecipare a una squadra di operai edili ultra-istruiti. Ogni famiglia doveva investire centinaia di ore del proprio lavoro per preparare il cemento e tirar su muri a secco, per poi trasferirsi nei nuovi e preziosi alloggi. La teoria era che una volta affrancati dalla necessità di condividere i sovraffollati appartamenti dei genitori, ed entrati a far parte di una nuova comunità soddisfatta, gli inquilini del complesso si sarebbero dedicati con ancor più impegno e fedeltà al lavoro, che aveva la massima priorità .
Tutto ciò accadeva nel 1991, epoca di grandi possibilità . Molte mie conoscenze si trasferirono nel nuovo complesso residenziale giovanile “Atom” e di lì a poco si lanciarono nel settore privato. Il più simpatico era Igor: mentre la maggior parte dei nuovi capitalisti si dedicava a intrallazzi e traffici commerciali – importando jeans, computer, album di musica rock – Igor aveva fondato una propria azienda, con un’idea brillante: dato che la popolazione iniziava a guadagnare ma guardava con sospetto le nuove banche private, Igor si era messo a produrre casseforti di alta qualità in una vecchia fabbrica.
Quelli, in Russia, erano tempi di desideri confusi. La gente voleva essere “normalniye lyudi”, gente normale. A migliaia – compresi i residenti di Atom – i russi si erano riversati per le strade per sventare un colpo di Stato e festeggiare il potere da poco scoperto. E poi? Cos’è successo? È stato necessario improvvisare tutto, dalle leggi al mercato al significato dell’esistenza, sulle rovine fumanti di un colossale esperimento fallito. I racket si sono moltiplicati. Mistici, guaritori, ipnotizzatori hanno attirato le masse. Nella ricerca di qualcosa in cui credere, i residenti di Atom invitarono persino un prete a impartire insegnamenti settimanali attraverso la loro tv a circuito chiuso. Altri, più profani, ospitarono a casa propria una comune del libero amore.
Saltiamo in avanti di un decennio, la metà del tempo necessario ad arrivare ai giorni nostri. La nuova Russia era un progetto ancora in corso di realizzazione. Vladimir Putin, l’oscuro colonnello del Kgb, era diventato un popolare presidente. Putin forniva sufficiente benessere, un senso dell’ordine, un’immagine rassicurante dell’orgoglio nazionale. Il prezzo da pagare era tollerabile: accettare che le cose stavano così. Una minuscola rinuncia della propria dignità . Sta’ zitto e arricchisciti.
In molti all’accattivante confusione dei primi anni Novanta è subentrata la delusione. Lo splendido documentario di Robin Hessman My Perestroika narra le vicende di cinque amici moscoviti poco più giovani che i miei amici di Atom. Il film coglie l’ambivalenza nello scorcio tra l’epoca sovietica e la nuova libertà . Il film raffigura russi che vivono ragionevolmente bene, liberi di esprimere le proprie idee, anche se qualcosa è assente: una sorta di finalità superiore. «Sai», dice Borya, insegnante di storia, «gli ideali che infuocavano il cuore dei russi all’inizio degli anni Novanta sono stati profanati. Non è rimasto niente per cui combattere».
Ad Atom il prete è sparito. Hanno aperto un nuovo centro benessere per migliorare la forma fisica in una terra in cui le statistiche della mortalità sono da sempre legate all’eccessivo consumo di vodka e tabacco. La scuola elementare di Atom ha eliminato i programmi sperimentali (e il preside libero-pensatore), a favore di un curriculum di studi molto impegnativo a successo garantito. Il mio microcosmo, quello che seguivo nel tempo, si è disintegrato e sparpagliato qua e là . Alcuni sono partiti per il Canada o Israele o gli Stati Uniti. Un ex apparatchik della Lega comunista giovanile ha trovato la sua vocazione naturale nel cinico mondo del traffico di armi.
Igor, il costruttore di casseforti, e la moglie Tanya stavano lottando per apprendere come gestire un’impresa, e la loro azienda si è espansa e ha prosperato. Igor si è trasferito con la famiglia in un appartamento più grande, ha acquistato un Suv della Mercedes. Eppure non è a suo agio con il consumismo che logora l’anima, e la corruzione che li circonda. La più grande consolazione è che le due figlie hanno preferito un traguardo culturale che l’ambizione commerciale: Maria dipinge icone religiose, Katya è una pianista.
Ma acceleriamo di un altro decennio, e arriviamo ai giorni nostri. Quando decine di migliaia di persone si sono date appuntamento a Mosca questo mese per protestare contro le elezioni parlamentari e la mano pesante di Putin, i telegiornali hanno dipinto una rivolta della classe media. Il mio primo pensiero a questa notizia è stato di cercare Igor, il mio modello.
Igor e Tanya oggi abitano a Londra. Dopo vent’anni di battaglie contro la burocrazia, la corruzione, la mentalità degli impiegati, Igor ha rinunciato alla Russia, ha venduto la sua azienda e oggi, a 55 anni, sta studiando per un master in design. Ha poca stima della politica o dei politici – non ne ha mai avuta – ma ha seguito le proteste di Mosca su Internet e se n’è rallegrato. In mezzo alla folla, insieme ad alcuni irriducibili favorevoli al dispotismo, e ad alcuni liberal le cui speranze di vent’anni fa si sono riaccese, Igor ha visto qualcosa che lo ha inorgoglito: giovani professionisti istruiti, all’apparenza normalniye laudi, e tra questi sua figlia Maria.
Un giornalista russo li ha soprannominati “i nuovi arrabbiati”: giovani trentenni di successo, abitanti delle grandi città , grandi abbastanza da aver conosciuto qualche parte di mondo, troppo giovani però per provare nostalgia per la confortante uniformità dell’esperienza sovietica, e troppo, troppo giovani per aver paura. Si sentono ingannati e offesi dal “diritto divino” di Putin. Credono che la gente normale meriti leader normali.
Scopriamo così che in effetti la Russia è stata capace di dare vita a una classe media, ma che questo non basta a far nascere la democrazia. Occorre una generazione nata nell’innocenza. Borya, l’insegnante deluso di “My Perestroika” ha detto l’altro giorno al regista che no, lui non ha preso parte alle ultime manifestazioni, ma i suoi studenti sì.
Putin pare inetto nel suo sdegno. Liquida i manifestanti come strumenti dell’America. È ancora difficile intravedere una chiara alternativa a Putin. Tra gli aspiranti leader ci sono un oligarca miliardario proprietario di maggioranza dei New Jersey Nets, una squadra di pallacanestro; il deluso ex ministro delle Finanze di Putin, qualche faccia di una ventina d’anni fa, comunisti, ultranazionalisti, riformisti. Poiché non c’è un leader dell’opposizione, i pronostici danno Putin vincente alle prossime elezioni. Ma la figlia di Igor e gli studenti di Borya, i figli della generazione stessa di Putin, rappresentano la luce in fondo al lungo tunnel sovietico. La lezione per le altre nuove democrazie che nascono sul pianeta forse è questa: occorre tempo. Infatti, si può tirare fuori la gente dal sistema, ma non è così facile togliere il sistema dalla gente.
*(© 2011 The New York Times/la Repubblica – traduzione di Anna Bissanti)
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