Gli avvocati: no alla liberalizzazione a Napoli contestati Fini e Patroni Griffi
NAPOLI – È iniziata con i cartelli esposti dal Sindacato forense contro «la liberalizzazione selvaggia della professione». Poi è arrivato l’affondo del presidente dell’Ordine di Napoli, Francesco Caia, che ha parlato «inaccettabile ostilità , preconcetta e disinformata, mostrata nei nostri confronti da centri di potere economico ben individuati». Da Napoli, e sotto gli occhi del presidente della Camera Gianfranco Fini e del ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, parte la protesta degli avvocati contro le riforme contenute nella manovra. «Vogliamo difendere la nostra indipendenza», dicono. E dunque una delle categorie professionali più radicate nella politica, forte di molti e autorevoli rappresentanti in Parlamento, comincia a far sentire la sua voce contro il pacchetto di norme elaborato dal governo Monti.
Fini e Patroni Griffi erano a Castel Capuano, il vecchio palazzo di giustizia napoletano, per partecipare alla tradizionale cerimonia di consegna delle “toghe d’onore”. Ma l’appuntamento ha fornito agli avvocati napoletani l’occasione per contestare alcune delle disposizioni contenute nella manovra. Un testo che, accusa il presidente dell’Ordine Caia, «prevede l’eliminazione del nostro ordinamento con un semplice atto ministeriale. Se così avverrà – aggiunge il presidente dell’Ordine forense di Napoli – saranno finalmente accontentati i soliti centri di potere economico che hanno già tratto grandissima forza contrattuale dai decreti Bersani e vogliono trasformare gli avvocati in semplici impiegati dei grandi studi professionali». Caia contesta alla nuova normativa di aver «preso a pretesto il rilancio dell’economia» per introdurre «la modifica o peggio ancora l’eliminazione dell’Ordine forense».
Alle toghe non piace neppure la disposizione con la quale si prevede «la possibilità di costituire società di capitali per l’esercizio della professione con la partecipazione maggioritaria e senza alcun limite di soci solo di investimento. Gli avvocati saranno meri dipendenti, senza alcuna autonomia economica e intellettuale. Queste nuove forme capitalistiche aggrediranno il mercato dei servizi legali», sostiene Caia.
Argomenti ai quali il presidente della Camera replica provando a tracciare la strada per una mediazione. «La fissazione di regole deontologiche, la tenuta degli albi, così come la potestà disciplinare rappresentano altrettanti presidi posti a tutela del nesso tra esercizio della professione forense e protezione dei diritti», sottolinea Fini. «Garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocatura non vuol dire, peraltro, assicurare a quest’ultima una sfera di privilegio o peggio di arbitrio rispetto alla totalità dei consociati», rimarca il presidente della Camera, invitando però a non dimenticare «che l’esercizio dell’autonomia è fisiologico per una categoria posta a presidio dei diritti e per ciò stesso naturalmente aperta alla collaborazione con gli attori sociali e istituzionali». E dunque, conclude Fini, «solo tenendo assieme la piena coscienza del ruolo costituzionale dell’avvocatura, la salvaguardia della sua autonomia e l’efficienza del sistema di amministrazione della giustizia, sarà possibile assicurare effettività agli strumenti di protezione dei diritti fondamentali dei cittadini».
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