Giornali appesi a un filo sul pozzo senza fondo

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ROMA. Appesi a un filo. In queste ore la commissione Bilancio della Camera dovrà  decidere sul futuro del pluralismo dell’informazione nel nostro paese. E non si tratta di un’esagerazione. Dopo il no secco con cui il sottosegretario con delega all’Editoria Carlo Malinconico e il ministro per i rapporti con i parlamento Piero Giarda hanno escluso una marcia indietro del governo sul comma 3 dell’articolo 29 del decreto salva-Italia, confermando così la definitiva cancellazione del fondo per l’editoria, adesso la sopravvivenza di oltre cento testate no profit, cooperative, di partito e di idee è affidata agli emendamenti messi a punto dai partiti (a partire da Pd e Lega) che intervenendo sul comma ammmazza-giornali rimetterebbero le cose a posto. Emendamenti che spiegano anche come reperire le risorse necessarie in attesa della revisione del regolamento sull’editoria annunciata dal governo Monti (e sollecitata da anni dai giornali interessati). Riforma che, come ha ricordato anche ieri il senatore del Pd Vincenzo Vita, membro della commissione Vigilanza della Rai, rischia però di arrivare quando ormai nessuna delle tante realtà  editoriali già  oggi in crisi sarà  ancora esistente. «Per ridefinire in modo rigoroso e selettivo i criteri di erogazione del fondo, come viene richiesto dal governo – ha detto ieri Vita – è necessario che le testate interessate rimangano in vita. In un territorio cimiteriale, quale è quello che si prospetta per le cento testate toccate dai tagli, è difficile parlare di riforme. Si rischia – ha concluso il senatore democratico – di assistere a un colpo ferale al pluralismo dell’informazione senza, nel frattempo, dare luogo all’asta per le frequenze televisive. Com’è possibile?».
Spetterà  dunque al governo tecnico di Mario Monti portare a termine il lavoro cominciato da Tremonti e assestare il colpo mortale a circa cento giornali. La settimana scorsa i direttori di manifesto, Unità , Avvenire, Riformista, Europa, La Padania, Liberazione, Secolo d’Italia, insieme al presidente della Fisc, la federazione dei settimanali cattolici, hanno scritto una lettera a Monti dicendosi d’accordo sulla necessità  di una riforma strutturale del settore, spiegando però al premier anche quali saranno gli effetti del comma 3 se i tempi per redigere le nuove regole dovessero essere troppo lunghi. La risposta del governo non è si è fatta attendere: non si torna indietro.
A questo punto resta solo la via degli emendamenti al decreto. Pd e Lega nord ne presentano uno uguale che potrebbe rimettere le cose al loro posto, almeno in parte. Il testo prevede la cancellazione del termine fissato dal governo al 31 dicembre 2014 per la cancellazione del fondo per l’editoria. Nell’emendamento è prevista anche la copertura per rifinanziare il fondo, che attualmente può contare su appena 44 dei circa 150 milioni necessari. Tre le voci principali: una fetta consistente riguarda il debito che la presidenza del consiglio ha con le Poste per il mancato pagamento delle tariffe postali. Sono circa 400 milioni di euro che sono stati rateizzati: 50,8 milioni l’anno oggi a carico del fondo per l’editoria. La proposta è di utilizzare questi soldi per i contributi diretti e di reperire i fondi necessari a pagare il debito con le Poste dalle risorse previste per le leggi di intervento pluriennale. Altri 60 milioni si ricaverebbero invece dall’aumento dell’Iva sull’oggettistica (circa 45 milioni) e con l’aumento del 50% del canone delle Tv nazionali, oggi pari all’1% del fatturato pubblicitario e che, portato a 1,5%, consentirebbe di reperire altri 22/23 milioni di euro.
Anche quella dell’emendamento potrebbe però rivelarsi un vicolo cieco. Oggi infatti il governo presenterà  le modifiche alla manovra raccolte in un unico maxiemendamento che quasi certamente non terrà  conto delle modifiche proposte da Pd e Lega. Mentre per domani pomeriggio è previsto l’intervento di Malinconico in commissione Cultura della Camera. Il sottosegretario riferirà  sulla situazione del settore e risponderà  anche sui provvedimenti decisa dal governo alcuni dei quali, come l’eliminazione dei contributi diretti, sono una sua proposta di quando era presidente della Fieg.


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