Formigoni: non mi dimetto chi mi attacca lo fa per calcolo evidentemente do fastidio

by Sergio Segio | 2 Dicembre 2011 7:43

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MILANO – Si toglie la giacca, ti fa vedere tutta la città  dalla sua stanza presidenziale, lassù al 35mo piano del nuovo palazzo della Regione, poi parte all’attacco. Altro che «addolorato, immalinconito, sconcertato», come ha appena detto in conferenza stampa a proposito dell’ultima tegola piovutagli sul capo: Roberto Formigoni è un fiume in piena e difende a spada tratta il «sistema di eccellenza che da 16 anni governa la Lombardia».
Sarà , ma qui il malaffare prospera. Presidente, le chiedono di dimettersi…
«Non vedo perché. Di questa vicenda che vede coinvolto un consigliere regionale io non porto alcuna responsabilità . E neppure la mia giunta. C’è in corso una speculazione politica, l’han capito tutti: vogliono colpire Formigoni perché governa bene».
In consiglio regionale abbondano gli indagati, Nicoli Cristiani è solo l’ultimo caso, con lui tre membri su cinque dell’Ufficio di presidenza insediato dopo il voto del 2010 hanno guai con la giustizia…
«Ma il caso più grave riguarda Penati, il mio concorrente alle ultime elezioni. Poi sono indagati Nicole Minetti e un altro consigliere del Pdl, Gianluca Rinaldin. Punto».
E le pare poco?
«No. La politica dovrebbe essere il regno della trasparenza assoluta. Anche un solo caso è troppo».
I «casi», come dice lei, nel suo partito qui abbondano.
«Ricordo di essere stato il primo a denunciare le storture di leggi elettorali basate su listini o listoni nazionali che impediscono alla gente di scegliere».
Però Nicoli, nelle due precedenti giunte Formigoni, l’aveva nominato lei assessore.
«Com’è noto, non ha mai fatto parte della mia componente. Ho solo accettato l’indicazione del partito».
Come ha accettato la Minetti nel listino…
«Quando domandai mi fu risposto che era una ragazza laureata. Chiesi anche a don Verzé, che mi diede delle garanzie. Adesso ne sono ancora più convinto: in politica non ci devono essere privilegiati. Però voglio ricordare che la responsabilità  penale è personale, e in tutti questi casi le responsabilità  ancora da accertare».
Lei ha citato don Verzè. Non negherà  che l’ospedale privato San Raffaele ora in bancarotta è perfettamente inserito nel suo sistema di potere?
«Lo nego eccome. Il fatto gravissimo del San Raffaele è il buco di un miliardo e mezzo. Ricordo che la Regione con quell’ospedale ha rapporti che riguardano unicamente le prestazioni sanitarie».
Però lei, presidente, intrattiene rapporti con Pierangelo Daccò, che trasferiva all’estero i fondi neri del San Raffaele. È stato anche fotografato in barca con lui…
«Siamo amici da vent’anni, ma Daccò non ha mai avuto alcun incarico dalla Regione. Le indagini della magistratura riguardano i suoi rapporti con quell’ospedale».
E lo strapotere dei suoi amici ciellini nella sanità  lombarda? E la spartizione degli appalti che sarebbe in corso da tempo tra Compagnia delle Opere e Lega delle cooperative?
«Vero niente, né una cosa né l’altra. In Lombardia io ho istituito un sistema di mercato libero, nessuno si è mai lamentato per essere stato escluso. È un sistema di grande trasparenza, efficacia, eccellenza».
Vuole spiegare perché quando il listino Formigoni fu escluso per irregolarità , lei telefonò all’avvocato Martino, uomo della cosiddetta P4?
«Mi stavano escludendo dalla competizione, che poi ho vinto col 57 per cento dei voti. Io e miei collaboratori telefonammo a centinaia di persone per trovare una via d’uscita e incappammo anche in quella persona che avevo conosciuto a Roma in ambienti del Pdl. E che non è ancora stata giudicata colpevole. Lasci perdere, il problema è uno solo: Formigoni dà  fastidio».
A chi? Forse anche ai suoi sodali politici preoccupati perché lei vuole fare il gran salto a Roma e scalare il Pdl?
«Il 2013 è lontano, quando arriverà  il momento deciderò».

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