Finti dissidi per rinviare

by Sergio Segio | 10 Dicembre 2011 9:30

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TORINO. Sembrava dovesse procedere tutto a vele spiegate. Almeno dopo l’estromissione della Fiom. Invece, qualcosa non è andata per il verso giusto al tavolo per il nuovo contratto del gruppo Fiat, l’estensione del modello Pomigliano a tutti gli 86 mila dipendenti del Lingotto. La firma slitta, infatti, di qualche giorno. Pochi – nessun colpo di scena – forse arriverà  già  lunedì. Magari a sciopero dei metalmeccanici già  effettuato, per non «portare in piazza» una firma basata sull’esclusione del sindacato principale «chiesta» da Fim e Uilm. Non ci sono ripensamenti, il copione rimane più o meno quello: un contratto di 12 mesi, una Pomigliano bis, tris, quater e via dicendo (con «armonizzazioni» per i vari stabilimenti). Ma i sindacati del «Sì», ieri, hanno chiesto una pausa tecnica, dopo che la trattativa all’Unione Industriale di Torino si è arenata attorno a tre punti: «Premio di risultato, trattamento di malattia e straordinario. Abbiamo deciso di completare i testi laterali che mancano ancora a questa trattativa e di rivederci probabilmente lunedì pomeriggio nella speranza che questo week end porti consiglio e si riesca a fare l’accordo», ha spiegato il segretario nazionale della Fim, Bruno Vitali, irritato dalle dichiarazioni del segretario generale della Uilm Rocco Palombella, che – prima dello stop – aveva anticipato ai media che il negoziato non si sarebbe concluso «né oggi né domani», annunciando per lunedì mattina la riunione della segreteria nazionale a Roma. «C’è qualcuno – ha commentato Farina – che ha il grilletto più veloce del West». Le frasi del leader Uilm hanno innervosito le parti in trattativa. Furioso Roberto Di Maulo, segretario Fismic (sindacato «aziendale» da una vita), che in un primo momento – dopo aver letto i lanci d’agenzia – si è chiesto se alzarsi e abbandonare il tavolo, ma poi ha rinunciato. Nessuno cita la parola sospensione – il tabù della serata – ma di fatto Paolo Rebaudengo, responsabile delle relazioni industriali di Fiat, esce dalla palazzina dell’Unione Industriale, per confrontarsi con i vertici. E, quindi, pausa tecnica sia (per raccogliere le idee nel week-end). La Uilm sembra non voglia l’applicazione tout court del «modello Mirafiori» su assenteismo e straordinari (120 ore di straordinario obbligatorie l’anno e – come lotta all’assenteismo – uno o due giorni di malattia non pagati), vorrebbe invece che le norme si differenziassero a livello locale. Sulle Rsa, i sindacati (Fim, Uilm, Fismic, Ugl, Associazione capi e quadri) sembrerebbero d’accordo sul fatto che quelle delle organizzazioni firmatarie vadano elette dai lavoratori. Ma il «come» è ancora coperto dalla nebbia. E da Firenze, Maurizio Landini, segretario generale Fiom, ospite dell’iniziativa «La via d’uscita» promossa da Rete@sinistra, attacca: «La Fiat cancella contratti mentre non fa investimenti. Estendere il modello di Pomigliano a tutto il gruppo, a 86 mila dipendenti, vuol dire uscire dal contratto nazionale di lavoro, peggiorare le condizioni e mettere in discussione un principio fondamentale di libertà  sindacale». Poi, aggiunge: «Una delle ragioni per cui le imprese della componentistica sono in difficoltà , è che la Fiat sta semplicemente aumentando la cassa integrazione e non ha fatto nuovi investimenti. In Italia chi lavora sulla componentistica sta lavorando per le imprese tedesche, francesi o di altri Paesi, perché sono quelle che hanno investito, nonostante la difficoltà ». A suffragare l’american dream di Sergio Marchionne ci pensa l’autorevole Financial Times: «Fiat ama l’America» titola la «Lex Columnn». Nel ricordare la fragilità  del mercato dell’auto in Europa – in particolare di quello italiano che potrebbe peggiorare con la manovra di austerity – e anche l’indebolimento che si registra in Sudamerica, il Ft mette in evidenza come per Fiat siano centrali le attività  in Nordamerica grazie ai risultati di Chrysler. «Ma – nota il quotidiano finanziario – l’elevato indebitamento renderà  difficile per Fiat acquisire la quota rimanente del 41,5%» del gruppo Usa, dal momento che con «l’aumento del cash flow di Chrysler diventa più alto il prezzo che Fiat deve pagare».

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