Falluja in festa per il ritiro americano come trofei le foto dei soldati Usa uccisi
Mentre Barack Obama accoglieva i reduci dell’Iraq a Fort Bragg con un «bentornati a casa» e parlava di «un successo straordinario», a Falluja la gente era di diversa opinione. Erano migliaia nel centro della città a festeggiare il ritiro degli Usa e a cantare: «Oggi finalmente siamo liberi», portando in piazza le immagini dei combattenti a volto coperto, ma soprattutto quelle dei marines uccisi e dei tank bruciati.
Nella città simbolo della resistenza anti-americana, in pieno triangolo sunnita, sessanta chilometri a nord di Bagdad, dopo l’occupazione resta solo odio. Nel 2004 quindicimila soldati americani erano entrati a Falluja con gli altoparlanti che suonavano hard rock, convinti di spazzare in fretta ogni opposizione. Ma poi erano stati costretti a usare le armi al fosforo, vietate dalle convenzioni ma forse necessarie per aver ragione dei combattenti più riottosi. Alla fine della missione “Phantom Fury”, per terra restavano oltre duemila iracheni e 140 americani. La battaglia più dura nella storia Usa dai tempi del Vietnam. Uno scontro che ancora oggi lascia tracce nel sangue dei sopravvissuti, affetti da tassi di tumori e leucemie superiori a quelli di Hiroshima.
E ieri la gente è scesa in strada a esporre le foto dei massacri, sventolando le bandiere irachene e dando alle fiamme quelle a stelle e strisce o con la stella di David. Il portavoce della provincia di Anbar, Mohammad Fathi Hantoush, ha raccontato di «preghiere congiunte sunnite-sciite, con delegazioni da tutto il Paese». Le celebrazioni dureranno quattro giorni: destinazione obbligata, oltre alla grande moschea, i cimiteri dei martiri, caduti resistendo all’occupazione.
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