Evasione fiscale caccia al tesoro da 150 miliardi

by Editore | 27 Dicembre 2011 7:10

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Ed è credibile solo se lo Stato si dimostra capace di far rispettare le proprie regole. Per questo, oltre che per questioni di equità , indispensabile nel momento in cui si chiedono sacrifici al Paese, oggi, abbattere l’evasione fiscale è una priorità  assoluta. L’elevato tasso di evasione è l’indice di quanto in basso sia caduto il livello di legalità  in Italia. Ancora più preoccupante che venga quasi percepito, soprattutto all’estero, come un tratto endemico della nostra società , con un senso di indignata rassegnazione per uno Stato incapace di far rispettare le regole che sforna a getto continuo. Abbattere l’evasione è quindi la strada per elevare il senso di legalità , perché è anche il modo più efficace di combattere criminalità  organizzata, corruzione, reati finanziari, affarismo, abusi. E ricostruire quindi la credibilità  dello Stato.
Negli ultimi anni, e soprattutto con l’ultima manovra, lo Stato si è dotato di tutti gli strumenti necessari a combattere efficacemente l’evasione. Lo Stato può ormai controllare ogni pagamento, transazione finanziaria o investimento dei cittadini; e ha limitato l’uso del contante per avere sempre una traccia di come utilizziamo i nostri soldi. Può analizzare le nostre abitudini di spesa col redditometro, e verificare l’attendibilità  dei redditi di professionisti e piccole realtà  economiche con studi di settore sempre più analitici. Può sapere come e dove investiamo all’estero grazie ai trattati sullo scambio di informazioni; e se lo facciamo in un paese della black list del fisco, scatta l’inversione dell’onere della prova: si presume l’evasione, salvo prova contraria. Lo Stato si può avvalere di criteri molto ampi per contestare residenze estere di comodo: per pagare le tasse in Italia basta che qui risieda il suo “centro degli affetti”. Si è dotato di norme contro le società  di comodo; contro l’uso elusivo del debito; contro l'”abuso di diritto” (un’operazione o una transazione finanziaria evade le imposte se, in assenza di vantaggi fiscali, non sarebbe stata effettuata); contro l’evasione dell’Iva intra-comunitaria, facendola pagare a chi compra un servizio da un altro paese; contro le transazioni di comodo con l’estero, imponendo la segnalazione di tutti i pagamenti verso I paesi privi di trattati. E ha a disposizione un apparato imponente, formato, caso unico al mondo, da ben tre istituzioni, Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza ed Equitalia.
Gli strumenti e i mezzi per incidere significativamente sull’evasione ci sono. Adesso, ci vogliono i risultati. Altrimenti, la perdita di credibilità  dello Stato sarà  irreversibile. Ma un paese molto indebitato e poco credibile, prima o poi è destinato al default. Poiché la posta in gioco è talmente alta, è stato giusto concedere allo Stato un potere così intrusivo nel privato dei cittadini; ma se, a fronte di tanto potere, lesivo delle libertà  individuali, i cittadini non potranno presto godere dei benefici concreti di una minore evasione e maggiore legalità , l’unico risultato sarà  la percezione di uno Stato ancora più iniquo e meno credibile. 
Perché non accada, è importante utilizzare meglio e diversamente gli strumenti disponibili. Alcune proposte le presenterò in un articolo successivo. Ma due mi sembrano particolarmente importanti. La prima, è una maggiore trasparenza. Per comprendere e giudicare l’efficacia dell’azione dello Stato, agli italiani deve essere fornito un dato ufficiale, verificabile, analitico e indipendente sull’ammontare dell’evasione. In ottobre, in concomitanza con la pubblicazione definitiva della contabilità  nazionale, e contestualmente alla discussione sulla legge finanziaria, l’Istat (di concerto con Banca d’Italia, Agenzia del territorio, Agenzia delle Entrate ed Equitalia) dovrebbe comunicare quello che altrove si chiama tax-gap: la differenza, per ciascuna imposta e complessiva, tra il gettito fiscale effettivo e quello teorico, calcolato sulla base di aliquote nominali e stime ufficiali di reddito, consumi, investimenti, profitti e ricchezza degli italiani (gli stessi dati che sono anche l’input per le politiche fiscali del Governo). Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza già  riferiscono il numero di accertamenti effettuati e le imposte evase recuperate. Ma non dicono nulla sul livello di evasione: per quel che ne sappiamo, potrebbe crescere più rapidamente di quanto recuperato. Né sul livello di compliance: una riduzione delle imposte evase potrebbe essere anche indice di una maggiore legalità  diffusa. Solo grazie al tax-gap, l’opinione pubblica può avere una corretta percezione dell’efficacia nella lotta all’evasione, e magari convincersi a cambiare i propri comportamenti; e lo Stato rendere conto del proprio operato. I dati non verificabili, le congetture, le indiscrezioni creano solo confusione, e possono essere socialmente dannosi. 
La seconda è aggiungere un obiettivo ufficiale per la pressione fiscale, a quelli per deficit, debito e saldo primario. Lo scopo della lotta all’evasione, infatti, non dovrebbe essere quello di aumentare il carico impositivo; ma, prima, di redistribuirlo, a favore di chi lavora, investe e produce; e poi ridurlo. Perché sviluppo economico significa voler investire di più e poter consumare di più. Per farlo, meglio ridurre la pressione fiscale, che in Italia è già  elevata. A settembre, prima della manovra Monti e delle previsioni di recessione, il Fondo Monetario (FMI) aveva stimato che la pressione fiscale nel 2012 in Italia sarebbe arrivata al 47% del Pil: un dato ormai sottostimato, ma già  superiore di 3 punti alla Germania; vicino ai paesi dalla fiscalità  più elevata come Olanda e Svezia (46,6% e 48,5%), ma che offrono servizi pubblici molto migliori; e che eccede di ben 10 e 15 punti il dato medio dei paesi, rispettivamente, del G7 e G20, coi quali dobbiamo competere. Ci batte solo la Francia, che non è esattamente un modello da seguire. 

Stabilendo un tetto alla pressione fiscale e, auspicabilmente, un obiettivo di discesa nel tempo, il Governo chiarirebbe che l’obiettivo della lotta all’evasione è ridurre le tasse, e renderle meno inique, promuovendo così lo sviluppo. E dissiperebbe la sgradevole sensazione che l’evasione sia un’utile paravento al non voler, o non saper, ridurre la spese pubblica, gonfiata dalla giungla di agevolazioni, sussidi, inefficienze, mala gestione, contributi, assunzioni clientelari, enti e opere inutili che ogni cittadino conosce per esperienza. Se per esempio il dato di 150 miliardi l’anno di imposte evase, che è stato riportato da più parti, fosse realistico, una volta sconfitta l’evasione la pressione fiscale salirebbe al 56%, la più alta tra tutti 60 paesi monitorati dal FMI (oggi è la Finlandia col 53%). Un record poco invidiabile che ci condannerebbe al declino secolare. Quindi, se il Governo è veramente convinto che l’evasione sia pervasiva e che lo Stato sia in grado di ridurla, bene farebbe a stabilire subito un tetto agli introiti fiscali per gli anni a venire.

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