Emergenza e democrazia

by Editore | 28 Dicembre 2011 9:35

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In Italia, questa crisi è stata rappresentata dal berlusconismo e dalla configurazione dispotica che esso ha dato al nostro vivere civile: il Parlamento è stato svuotato di ogni potere; l’esecutivo ha prevalso sul legislativo e ha cercato di sottomettere con ogni mezzo il giudiziario; si è messa in discussione la «legittimità » della Corte costituzionale, aprendo contemporaneamente un conflitto sistematico con la Presidenza della Repubblica. In sintesi, si è cercato di trasformare in modo radicale il sistema dei poteri dello Stato, troncando in modo netto ogni rapporto con il fondamento antifascista della Repubblica. E, occorre saperlo, sono stati acquisiti dei risultati: anzitutto con la diffusione di «sensi comuni» autoritari ed anche dispotici. Pensare che con le dimissioni di Berlusconi si sia usciti da questa situazione e che il nostro Paese sia già  stato rimesso sui binari della correttezza democratica, è una pura illusione; significa non aver ancora capito cosa è accaduto negli ultimi venti anni e la profondità  delle trasformazioni culturali e antropologiche. Oggi si tratta di restaurare l’ordinario vivere democratico.
È un processo difficile perché la democrazia non è un fatto scontato, naturale. Anzi, essa si sviluppa in una permanente condizione di crisi, di pericolo; deve costantemente contrapporsi allo «stato d’eccezione», che si impone per decisione del sovrano effettivo (chiunque egli sia) quando viene meno la legittimazione dei poteri ordinari dello Stato, come avvenne, ad esempio, in Europa dopo la fine dell’ancien règime. Né è immaginabile che il pericolo dello «stato d’eccezione» possa venir meno una volta per tutte: «la tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato d’eccezione’ in cui viviamo è la regola», ha scritto Walter Benjamin. Specie in democrazia si vive sempre nel pericolo dello «stato d’eccezione». In Italia, il problema principale oggi è precisamente questo: uscire dallo «stato d’eccezione» costituito dal berlusconismo. E non è pensabile che un processo di questa profondità , in una situazione internazionale difficile e avversa, possa avvenire in modo lineare e indolore.
Una cosa è però certa: per restaurare la correttezza democratica è necessario restaurare il valore e la funzione autonoma della politica. Democrazia e politica sono unum et idem. Ce lo ha spiegato bene Max Weber: se la burocrazia, e l’amministrazione, prevalgono sulla politica si apre una situazione di crisi, di decadenza, come accadde in Germania con il bismarkismo. La «crisi» si produce quando viene meno la politica e nel vuoto da essa lasciato si inserisce la forza dura e ingovernabile della «burocrazia» pretendendo di assumere la direzione dello Stato, cosa di cui essa è incapace per natura, funzione ed anche cultura. È una considerazione che fatte le debite distinzioni aiuta a comprendere anche caratteri e rischi della nostra situazione. L’Italia oggi sta attraversando un momento di eccezionale difficoltà , caratterizzato da due elementi essenziali, a loro volta strettamente intrecciati: comincia ad uscire, faticosamente, dal lungo «stato d’eccezione» del berlusconismo, mentre combatte, contemporaneamente, una guerra condotta con strumenti diversi, ma non meno violenti, dei cannoni. È in questo contesto che si situa la nascita del governo Monti, ed è in questa luce che ne vanno valutati meriti e limiti. Nato con un forte e positivo sostegno del Presidente della Repubblica, esso ha avuto il merito di ridare subito credibilità  e vorrei dire: dignità  internazionale all’Italia. Ma lo ha fatto con una nuova finanziaria che ha colpito in modo durissimo gli strati più deboli, senza peraltro riuscire ad ottenere, fino ad ora, risultati significativi nella «guerra» con i mercati. E venendo alla questione della democrazia pur essendo ineccepibile dal punto di vista costituzionale la sua nascita si è configurata come una affermazione del primato della «competenza», della «tecnica» e della sua «obiettività » sulla politica, fino al punto di essere criticato come una diversa, ma altrettanto negativa, forma di «stato d’eccezione». È un giudizio non condivisibile, in questi termini. Battere però sul primato della «tecnica», umiliare la politica non serve, è sbagliato, pone le condizioni dello «stato d’eccezione» perché politica e democrazia sono, appunto, unum et idem.
Certo, sono limiti importanti e vanno detti con schiettezza; ma confermano quanto sia difficile e faticoso il processo di restaurazione della democrazia nel nostro Paese. Non è facile uscire dalla «democrazia dispotica», da un lungo «stato d’eccezione»: si comincerà  a farlo quando con le elezioni la parola sarà  ridata ai cittadini e se le forze riformatrici, a cominciare dal Pd riusciranno a prevalere. E neppure questo è scontato.

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