Effetto interno-esterno: terremoto nei Balcani
Il risultato delle elezioni politiche mostra probabilmente una tendenza nuova. Ma siamo pur sempre nel pozzo della recessione economica europea e nei Balcani dove l’Unione europea ha segnato i destini delle piccole patrie del sud-est emerse dall’esplosione dell’ex Jugoslavia. Stavolta l’Hdz (Unione democratica croata) ha pagato sia la disastrata situazione dell’economia che la connessa stagione di scandali e corruzione del governo di Ivo Sanader, leader dell’Hdz prima del suo arresto e della sua detenzione.
Secondo i risultati, l’Hdz guidata dalla premier uscente Jadranka Kosor crolla dal 36% di 4 anni fa al 22-23%, conquistando solo 45 dei 140 seggi del parlamento, contro gli 80 della coalizione di centrosinistra «Kukuriku» (Chicchirichì, il canto del gallo, dal nome di un locale di Kastav presso Rijeka-Fiume nel quale un anno e mezzo fa la coalizione si riunì per la prima volta) guidata dal partito socialdemocratico (Spd) di Zoran Milanovic (nella foto in alto). A lui ora il presidente della repubblica Ivo Josipovic affiderà l’incarico di premier con il compito, difficile, di riformare l’economia e di adottare – Ue docet – ingrate misure di austerity. Il tasso di crescita della Croazia è fermo a +0,5%, la disoccupazione oltre il 17%. In campagna elettorale il centrosinistra ha promesso che la legge finanziaria per il 2012 sarà pronta a marzo, per evitare un declassamento del debito sovrano croato, ora al 60% del Pil con il rating BBB- e un outlook negativo secondo Standard and Poor’s.
Ma all’affermazione della coalizione di centrosinistra si è accompagnata anche quella di nuove formazioni di sinistra, come il Partito laburista operaio di Lesar (6 seggi) e la conferma delle liste democratiche delle minoranze, italiana e serba, (4 seggi). Ora la Croazia diventerà membro dell’Ue nel 2013, lascito «positivo» dell’ex premier Kosor che firmerà il trattato di adesione il 9 dicembre a Bruxelles. Una firma che sa di «ipoteca» della destra. Visto che la tanto agognata adesione avviene nel bel mezzo della ridiscussione dei Trattati a fronte della recessione economico-finanziaria dell’Eurozona.
In Slovenia, membro dell’Ue dal 2004, tutte le previsioni elettorali davano certa la vittoria dell’opposizione di destra del Partito democratico guidato dal leader nazionalista-conservatore Janez Jansa, dopo l’uscita di scena del governo di centrosinistra del premier Borut Pahor, leader dei Democratici sociali (Ds), sfiduciato a settembre dopo avere presentato un duro pacchetto di austerity e dopo aver perso un referendum sulla riforma delle pensioni che prevedeva un drastico innalzamento dell’età pensionabile. E invece, a sorpresa, a vinto il sindaco di Lubiana Zoran Jankovic (nella foto in basso), imprenditore milionario considerato l’uomo più ricco del paese, con il suo movimento di sinistra laica e sui diritti civili «Slovenia Positiva», da lui fondato meno di un mese fa, che ha ottenuto il 29% dei voti e 28 deputati sui 90 del Parlamento sloveno. Il Partito democratico di Jansa è secondo con il 26% e 26 deputati, mentre i socialdemocratici (Ds) del premier uscente Borut Pahor hanno ottenuto il 10% e 10 deputati. Al quarto posto un’altra formazione nuova, il partito fondato dall’imprenditore Gregor Virant, con l’8% dei voti. I Ds di Pahor sono scesi in soli 3 anni dal 31% al 10,5%. Hanno pesato fortemente i dati sul raddoppio della disoccupazione arrivata in 4 anni all’11%, l’assenza di crescita e di lavoro, l’alto debito pubblico esposto alla speculazione internazionale (le agenzie di rating hanno declassato il debito sloveno a settembre). Il conservatore Jansa è stato penalizzato dal vecchio scandalo per corruzione che lo vede imputato per una tangente del 2006 quando era premier, e per nuove malversazioni rese pubbliche sul finire della campagna. Ma soprattutto ha pesato l’annuncio di privatizzazioni immediate e altri tagli all’amministrazione pubblica e al welfare.
Difficile fare un governo duraturo, a Zagabria e ancora di più a Lubjana. In Croazia i numeri lo consentono, ma se vorrà durare la coalizione «Kukuriku» dovrà avviare un’austerity di segno sociale diverso, perché per sostenersi dovrà «spostarsi a sinistra». I «mercati» internazionali non dovrebbero essere felicissimi di questi risultati.
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