by Editore | 18 Dicembre 2011 10:26
Tuttavia quelli sull’asta delle frequenze approvati venerdì sera dalla Camera dei deputati – proposti da Idv, Lega e Pdhanno un valore in più. La questione è bollente e la votazione sull’ordine del giorno arriva a coronamento di una lunga battaglia sul campo minatissimo dell’etere, dove da anni si svolge un agone terribile, minato dal conflitto di interessi. Dopo la guerra dei trent’anni sulla televisione analogica, persa senza troppa dignità dalle forze progressiste nell’alternarsi del governi e delle battaglie parlamentari, ora si rischia la disfatta digitale. Se non si rompe il meccanismo perverso dell’occupazione gratuita delle frequenze da parte della vecchia concentrazione, notoriamente ad egemonia Mediaset. Tanto più dopo l’improvvido via libera dato dall’ Antitrust all’azienda berlusconiana nell’acquisizione di Dmt, la maggiore società degli impianti di trasmissione. L’ordine del giorno suona come un monito al governo: se è davvero tecnico e indipendente batta un colpo, annullando l’assurdo “beauty contest” (il concorso di bellezza senza spesa inventato nell’era del Caimano) e promuovendo una vera asta competitiva, come è stato fatto per i gestori di telecomunicazione, con un’entrata per l’erario pubblico di quattro miliardi di euro. Almeno la metà potrebbe arrivare dai sei multiplex ora in ballo. Attenzione, però. Non si aspetti l’espletamento della gara in corso, sulla quale oltretutto premono ricorsi e “buchi neri”, come il ritiro di Sky. Perché, è utile ricordare, fu proprio il ricorso in sede europea di quest’ultima a rimettere in corso la procedura. E’ bene anche rammentare ai troppi smemorati (in questo campo purtroppo le amnesie sono capitatenumerose volte) che la controversia iniziò nella primavera del 2009 quando con un colpo di maggioranza l’Autorità per le comunicazioni decise per il “beauty contest”, supportata dalla prevedibile sintonia dell’ex ministro Romani. Dunque, si annulli e si riapra il caso. Forse, siamo ancora in tempo a riprendere il filo della rivoluzione digitale. Perché non diventi una spiacevole controriforma, dando seguito ai fantasmi del berlusconismo, ammaccato ma pronto alla riscossa. Con la televisione che rimane la porta del ritorno.
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