DIRITTI E VALORI LA POLITICA È QUESTA
Il teorema da tempo accettato secondo cui il centro della vita sociale è il sistema economico, cioè la stretta corrispondenza delle categorie della vita economica con quelle della vita sociale, non è più accettabile. L’economia si è separata dalla vita sociale: è questo il significato profondo della globalizzazione. Il mondo delle istituzioni sociali, politiche e giuridiche sta crollando. La costruzione dei giudizi sociali non può più avere altri fondamenti se non morali.
Qual è il posto del lavoro nella vita individuale e collettiva: questo è il tema che meglio definisce lo spirito di una concezione “morale” della vita sociale; l’unione di una politica di questo genere con la repressione delle condizioni economiche illegali trasformerebbe in modo fondamentale la vita sociale di tutti. Bisognerebbe attribuire molta più importanza di quanto non si faccia oggi a tutti i problemi che riguardano le minoranze di ogni tipo, che si tratti dei giovanissimi, dei vecchi, dei disabili o delle minoranze culturali, linguistiche, sessuali, religiose o altro ancora.
Il problema è che siamo stati abituati a sentire la destra parlare il linguaggio della morale, e la sinistra quello dei rapporti di forza e della lotta del profitto contro i salariati. Ma si può ancora sentire questo discorso quando la speculazione trionfa ovunque, e quando vediamo l’impossibilità di ricostruire l’economia? E quando, nel vuoto o nella debolezza dei discorsi fatti da partiti e governi di sinistra, le voci che sentiamo e che rappresentano più attivamente la sinistra sono al contrario cariche di indignazione, di appelli alla giustizia, di rivendicazione dell’accesso reale, e non soltanto legale, alla soddisfazione dei bisogni più fortemente sentiti – non è chiaro che i temi “morali” mobilitano molto più di quelli strettamente economici?
Non esiste più altra sinistra se non quella che prende la parola o se ne impadronisce, come già avevano fatto i movimenti pionieristici degli anni Sessanta del secolo scorso, soprattutto negli Stati Uniti e in Francia.
Sinistra o destra sono prima di tutto delle concezioni della società , delle definizioni del Bene da difendere e del Male da combattere. La sinistra o la destra si possono definire anche a livello sociale dal punto di vista delle categorie sociali a cui appartengono gli elettori o i simpatizzanti, ma la posta in gioco e la natura del conflitto non si possono più definire in termini sociali. Non sono più i contadini poveri o gli operai della grande industria a costituire la sinistra. Lo vediamo tutti i giorni, più o meno chiaramente a seconda del paese che osserviamo e delle categorie che analizziamo.
Ma noi abbiamo bisogno di identificare le nuove categorie che condividono la visione appena evocata. Dobbiamo individuare negli ambiti principali della vita sociale – produzione, distribuzione, finanziamento, educazione, salute, occupazione del territorio, politica culturale eccetera – le scelte che permettono di collocare la destra e la sinistra e di contrapporre l’una all’altra, compito immenso ma che è tuttavia indispensabile almeno iniziare a intraprendere.
L’elemento di definizione che per primo viene alla mente è che la destra pensa in termini di oggetti e di rapporti tra gli oggetti, e che definisce gli attori tramite le loro situazioni oggettive. Tanto più colpisce dunque che tale tentativo sia stato, in un passato già lontano, identificato con la sinistra. Il che impone di rompere con le ideologie che sopravvivono alle realtà storiche che hanno cercato di interpretare. Ciò che definisce, all’opposto, la sinistra, è che pensa e agisce in termini di diritti.
Il populismo di destra, che lamenta le deplorevoli condizioni dell’infanzia, dei poveri, delle donne e dei prigionieri è sempre esistito. Ma il pensiero e l’azione diventano di sinistra solo quando il pensiero si interroga sulle ragioni della disuguaglianza, o della dipendenza e della violenza, cercando nelle vittime i possibili protagonisti di volontà e desiderio d’azione.
Il settore in cui è più facile definire la sinistra è il giudizio espresso sui diritti e sulla situazione delle donne; forse perché i progressi verso la parità tra uomini e donne sono così lenti, quando non sono assenti del tutto. Le nostre società sono ancora in effetti, in questo ambito, in stragrande maggioranza di destra. Se ciò che meglio definisce la sinistra è il giudizio sulla condizione della donna, la destra si definisce meglio per l’importanza attribuita all’identità , che si traduce nella paura delle minoranze, soprattutto quelle di recente formazione. Le politiche dell’identità sono politiche di destra. Il che non significa che alcuni orientamenti di sinistra non possano identificarsi con un ideale nazionale o religioso, cosa ovviamente innegabile.
Questo è il cammino che occorre seguire per dare un contenuto reale alle idee di destra e di sinistra. Solo quando un gran numero di individui, di gruppi e di organizzazioni si impegna con decisione in tali compiti ci si può preoccupare dei problemi di organizzazione politica. Con ciò non si vuole certo sostenere che si debba ripartire da zero ma, al contrario, che la costruzione di una tendenza politica deve fare i conti con un retaggio di partito che è un ostacolo, più che un aiuto, allo sviluppo di nuove idee, di nuove prassi, di nuove mobilitazioni. A partire dalla nostra riflessione odierna, questi sono gli interrogativi che dovremmo continuare a porci: su quali punti decisivi la sinistra e la destra si oppongono? E quali differenze devono esistere tra le forme di azione politica delle persone di destra e delle persone di sinistra?
*(Traduzione di Anna Tagliavini)
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