by Editore | 16 Dicembre 2011 7:19
Sono venuto a conoscenza per la prima volta della nuova “promozione” di Amazon da mia figlia Emily, che fa la libraia, attraverso un’e-mail che aveva per oggetto: “Riesci a sentire come urlo a Brooklyn?”. Nel link che Emily mi mandava, leggevo che Amazon sta incoraggiando i suoi clienti ad andare nelle librerie il sabato e a usare la sua applicazione per controllare i prezzi online (che consente a un acquirente di vedere, in un negozio, tramite la lettura del codice a barre, se può ottenere un prezzo migliore online) per ottenere un credito del 5% sugli acquisti fatti su Amazon (fino a 5 dollari per articolo, e fino a un massimo di tre articoli). I libri, la cosa è piuttosto interessante, sono esclusi, ma uno può usare il proprio credito Amazon online per comprare altre cose che le librerie vendono in questi giorni, come la musica e i dvd. Se controllate il codice a barre, per esempio, della biografia di Steve Jobs recentemente uscita, sarete indubbiamente informati che rischiate di pagarla troppo. Mi sono chiesto che cosa i miei amici scrittori pensino di tutto questo, così ho subito spedito un’e-mail a Scott Turow, presidente del sindacato scrittori e, per conoscenza, a Stephen King, Dennis Lehane, Andre Dubus III, Anita Shreve, Tom Perrotta e Ann Patchett.
Tutti questi scrittori incassano considerevoli rendite dalla vendita dei loro libri su Amazon, ma quando hanno cominciato ad arrivare le risposte alla mia domanda è stato chiaro che il programma di Amazon non troverà dei paladini tra i nostri ranghi. «Un capitalismo che fa terra bruciata», lo ha definito Dennis. «Non sono contenti se non distruggono la concorrenza infierendo poi su di essa». Andre è indignato dal tentativo di Amazon di trasformare i suoi clienti in robot che spiano le etichette. Come Dennis, interpreta questa mossa come un rozzo tentativo di monopolizzare il mercato, il cui effetto, alla fine, sarà quello di «svalutare ulteriormente, come necessità umana e culturale, il libro stesso». Stephen mi ha scritto: «Amo il mio Kindle». E ha aggiunto che Amazon ha lavorato bene per lui, in quanto a vendite di libri. Anche lui, tuttavia, ritiene che la nuova strategia sia «invasiva e scorretta» al tempo stesso. Secondo lui, molti vedranno la nuova promozione come un semplice confronto di prezzi tra confezioni di steroidi ma, in effetti, «è un po’ troppo».
Scott vede le cose sotto un profilo legale: «La legge ha chiarito da tempo che i negozi non invitano il pubblico ad entrare per fare qualsiasi cosa. Non è previsto che un rivenditore funga da luogo per riscaldarsi per i senzatetto o diventi un luogo dove fare le prove con la tua band. È giusto, quindi, chiedersi se sia legale, da parte di Amazon, incoraggiare la gente ad entrare in un negozio con l’intenzione di raccogliere informazioni sui prezzi per Amazon, per poi comprare attraverso il gigante di Internet invece che presso il rivenditore. Legale o no, questo è un esempio dell’approccio “senza guantoni” di Amazon».
Dichiarazioni come questa dovrebbero indubbiamente far apparire tutti noi, ai devoti di Amazon, come un mucchio di privilegiati, spocchiosi ed ingrati. Privilegiati, glielo concedo. Ma mentre ci scambiavamo le e-mail, è subito diventato chiaro che la vera fonte del nostro sgomento collettivo era in realtà la gratitudine, non l’ingratitudine. Durante la promozione del mio primo libro, fui invitato alla libreria Barbara’s Bookstore di Chicago. Gli impiegati avevano ottimisticamente preparato sette sedie pieghevoli, e poi ci si erano seduti loro stessi non essendosi presentato nessuno alla lettura.
Forti di queste esperienze, i miei amici scrittori ed io abbiamo preso come un fatto personale l’assalto di Amazon nei confronti dei negozi che vendono direttamente i nostri libri da prima che qualcuno ci conoscesse, addirittura da prima che Amazon o lo stesso Internet esistessero. Come ha detto Anita, perdere le librerie indipendenti sarebbe come «tagliare dalla vita americana una parte critica della nostra cultura».
In quanto proprietaria di una nuova libreria indipendente a Nashville, forse Ann aveva più da perdere di tutti noi, e per questo ho trovato particolarmente interessante la sua risposta calma e rassegnata. «È inutile lottare contro di loro o spiegargli che dovremmo essere capaci di coesistere civilmente sul mercato», mi ha scritto. «Non credo che gliene importi niente. Penso, invece, che valga la pena di spiegare ai clienti che un prezzo più basso non sempre equivale al miglior affare. Se vi piace andare in una libreria, tocca a voi sostenerla. Se vi piace vedere che le persone della vostra comunità hanno un posto di lavoro, se pensate che la vostra città ha bisogno di incassare delle tasse, se volete comprare i libri da una persona che legge, non usate Amazon».
A qualche miglio dalla strada dove abito, sulla costa del Maine, una giovane libraia, Lacy Simons, ha aperto una piccola libreria che ha chiamato Hello Hello e, nel suo blog, ha scritto del suo rapporto con «chiunque entri nel mio negozio. Se me lo consentirete, imparerò a conoscervi attraverso le vostre letture e mi sforzerò di trovare dei libri in consonanza con voi. Amazon vi chiede di approfittare delle mie conoscenze e dei miei studi e di trattare lo spazio che affitto, il luogo di incontro che offro, i libri e la cultura libraria in cui credo così tanto da averci scommesso tutto» come se fosse «un luogo dove si espongono dei beni che potete trovare a miglior prezzo da loro».
Scott mi ricorda che cosa avvenne l’ultima volta che qualcuno affrontò Amazon. Poco meno di due anni fa, il gruppo editoriale Macmillan adottò un nuovo modello di vendite che sarebbe costato alla Macmillan nel breve periodo, ma che avrebbe consentito ad altre imprese di entrare o di rimanere nel mercato dell’e-book senza perderci su ogni vendita. La risposta di Amazon a una maggiore concorrenza? Rifiutarono di vendere non solo gli e-book della Macmillan, ma tutti i libri anche cartacei pubblicati dalla Macmillan. Amazon alla fine ha ceduto, ma la sua risposta iniziale ci ha aiutato ad avere la netta sensazione che immagini un mondo in cui non ci saranno altri librai o editori, un mondo in cui, come suggerisce la storia, Amazon potrebbe non usare il suo potere in modo benigno o a vantaggio della cultura letteraria.
Secondo me, il problema con Amazon nasce dal fatto che, anche se è nata come una libreria, ormai non lo è più, non è più questo in realtà . Oggi vende di tutto e lo fa in modo aggressivo. Forse ad Amazon non importa niente del più ampio universo dei librai semplicemente perché è troppo ampio per preoccuparsene. Come tutti quelli con cui ne ho parlato, in un primo momento ho attribuito l’applicazione di Amazon per paragonare i prezzi all’arroganza e alla malevolenza, ma c’è anche qualcosa di stranamente grossolano e inesatto in questo. Chi la critica può apparire debole, oggi, ma potrebbe non esserlo domani, e se il vento gira, la maldestra strategia di Amazon potrebbe dar vita a un massiccio movimento Occupy Amazon. E anche se la società sarà fortunata e questo non accadesse, che cosa ci avrà guadagnato, in fondo? L’incostante gratitudine di quelli che saranno tanto fedeli ad Amazon domani quanto lo sono oggi a Barnes & Noble, il prepotente dell’anno scorso? È un buon affare? Forse è una mia impressione, ma è come se i dirigenti di Amazon avessero deciso di trascorrere le vacanze ai Caraibi affidando l’azienda a un computer perdutamente innamorato dei suoi algoritmi. In altre parole, tieni duro, Lacy.
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