DICHIARAZIONE SEMPRE MENO UNIVERSALE

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Si era da pochi mesi chiuso il processo di Norimberga ai criminali di guerra nazisti, e i promotori della Dichiarazione sostennero di dare in questo modo una risposta globale ai problemi dell’oppressione coloniale e delle discriminazioni razziali che allora sembravano essere le priorità  per dare finalmente l’avvio ad una fase di pace e sviluppo condiviso. Da questo punto di vista, la Dichiarazione rappresenta ancora un’evoluzione nella storia delle relazioni tra popoli, il primo vero tentativo di volere sancire in dettaglio i diritti e le libertà  dell’individuo creando una cornice internazionale ispirata alla tutela ed alla promozione dei diritti umani. Ma, immediatamente dopo la sua promulgazione, l’avvento della guerra fredda ha, tra le altre cose, “congelato” anche la Carta, costretta a restare lettera morta nella logica di contrapposizione tra i due blocchi. In particolare, l’esigenza di armarsi ha motivato l’impegno di grandi quantità  di fondi, sottratti così allo sviluppo democratico e civile dei paesi appena usciti dal giogo coloniale. Questo scenario ha anche giustificato la lunga serie di dittature che, tra gli anni cinquanta e ottanta del secolo scorso, hanno devastato le speranze del “terzo mondo”. La fine della guerra fredda ha riportato in auge l’idea dei diritti umani in quanto grande cornice per rilanciare il ruolo dell’Onu come “governo del mondo”. In particolare lo scioglimento del Patto di Varsavia aveva posto le condizioni per un simmetrico scioglimento della Nato, e dunque l’utilizzo dei “dividendi di pace” per promuovere la democrazia. Così non è stato; l’Occidente col suo “pensiero unico” liberista sostenuto dalla retorica dello “scontro tra civiltà ” ha generato altri avversari, scatenato altre guerre questa volta giustificate proprio in nome dell’universalità  dei diritti umani. E così, come aveva previsto il politologo nazista Carl Schmitt nelle sue riflessioni sull’universalismo, quella che doveva essere la cornice per un diritto internazionale condiviso, è progressivamente diventata la giustificazione dei nuovi rapporti di forza, operati non in nome e per conto di una parte sull’altra, ma addirittura nel nome di tutta l’umanità . Se uno Stato, o una serie di Stati, combattono il nemico in nome dell’umanità , la guerra che conducono non è necessariamente una guerra dell’umanità . Monopolizzare questo concetto significa dunque tentare di negare al nemico ogni qualità  umana, dichiararlo hors-la-loi e hors-l’humanité, in modo da poter usare nei suoi confronti metodi spietati sino all’estrema disumanità . I casi di Bin Laden o Gheddafi sono emblematici. In tal senso, il termine “umanità ” – il riferimento alle categorie giuridiche usate dal Consiglio di Sicurezza Onu per giustificare gli interventi Nato è anche qui pertinente – diviene parte integrante di una sloganistica etico-umanitaria, particolarmente idonea alle espansioni imperialistiche. In prospettiva, dunque, prosegue Schmitt, l’asimmetria del conflitto avrebbe esasperato e diffuso le ostilità : il più forte avrebbe trattato il nemico come un criminale, mentre chi si fosse trovato in condizioni di irrimediabile inferiorità  sarebbe stato di fatto costretto ad usare i mezzi della guerra civile, al di fuori di ogni limitazione e di ogni regola, in una situazione di generale anarchia. Se trasliamo questa analisi dal piano strettamente bellico a quella economico-finanziario, cogliamo appieno il parallelo tra le due. La descrizione della realtà  attuale, dall’Iraq all’Afganistan, dalla Somalia alla Libia, domani forse la Siria e l’Iran, sembra essere ritagliata esattamente su queste “profezie” di Carl Schmitt. E dunque, se così è, dobbiamo anche pensare che il nostro presente di guerre “umanitarie” di indefinite “missioni militari di pace” di emergenze umanitarie, deriva anche da una strumentalizzazione crescente dei diritti dell’uomo. È evidente che, in mancanza di una evoluzione nei rapporti di forza tra paesi e gruppi di individui, capaci di sostenere da pari a pari i loro diritti, senza l’ingerenza di “gendarmi universali”, la Dichiarazione verrà  sempre più utilizzata, non nelle sue potenzialità  positive ed egualizzanti che permangono intatte, ma solo come uno strumento per sostenere altri casus belli umanitari. Ecco su cosa dobbiamo realmente riflettere, invece di festeggiare acriticamente il 10 dicembre, pena la geometrica ascesa, non dei diritti umani, ma della loro barbarie.


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