Dandini: “La sfida della satira? Ridere di un Paese normale”
ROMA – «Diciamo la verità , è una cattiveria andare in onda subito dopo le feste. Tra i tanti problemi hai pure il dubbio se entrerai ancora nei vestiti». Serena Dandini ride, “anno nuovo vita nuova” per lei non è solo un modo di dire. Riparte dal 14 gennaio su La7 con The show must go off, si lascia alle spalle i veleni della Rai («No, non si è più fatto vivo nessuno, neanche Paolo Garimberti. Mi ha chiamato solo il direttore di RaiDue Pasquale D’Alessandro»), ma spiega di aver guadagnato in autostima «perché ho sentito l’affetto vero, quello della gente. Per noi ragazze che abbiamo un’autostima pencolante, un’iniezione di fiducia».
Però Serena, non ha mai avuto l’aria di una ragazza fragile.
«L’apparenza inganna. Mi sono sempre buttata, e a volte forse era meglio restare a casa, ma ho paura anch’io. Quando acquisti sicurezza convinci anche gli altri, è un trucco».
Ricomincia su La7, stato d’animo?
«Entusiasta. Non vedo l’ora. Lanceremo nuovi talenti, il segreto per non far invecchiare la tv. Ho trovato cose interessanti not ready for the prime time, come dice Letterman, ma abbiamo creato un laboratorio. La7 ha una factory».
“The show must go off”, lo spettacolo è finito. Non è uno strano titolo?
«È un omaggio ai Queen, un gioco di parole con la “la musica è finita”, ci piaceva. Noi lo chiamiamo “the show”. Andremo in onda il sabato e la domenica nel preserale e il sabato in prima serata: sarà un varietà vero, con le ballerine. Ci saranno Elio e le Storie Tese, Vergassola che non è il mio toy boy perché io sono anziana e lui è giovane, ma perché è piccolo. E poi Lillo e Greg, Diego Bianchi in arte Zoro. Verrà Neri Marcorè e aspetto Corrado Guzzanti».
E il divano?
«I divani. Ne avremo più d’uno, lo studio è più grande. Il primo ospite sarà Andrea Camilleri, adorato. Facciamo il programma negli Studios di Roma, gli stessi di Parla con me, ho lo stesso camerino. Con Mentana, Lilli Gruber e Crozza ho la strana sensazione di essere più a casa adesso che in Rai. E poi c’è il direttore Paolo Ruffini».
È nata in Rai, un po’ di amarezza è rimasta?
«È stato doloroso, certo. Li ho dovuti stanare per fargli dire che non ci volevano. Mi ha fatto arrabbiare il modo in cui hanno trattato le persone che lavoravano con me, io posso prendermi un anno sabbatico, loro no. Dovevano sapere il loro destino. In molti verranno da noi tra il pubblico. La cosa triste è che in Rai governa la politica, bisogna trovare il modo di liberarla».
Siete diventati un caso politico.
«Appunto: le sembra possibile? A destra e a sinistra non capiscono niente di televisione. Non hanno capito che è un danno per il servizio pubblico perdere i gruppi creativi. La Rai è divorata dalla politica, non può continuare così, aspettando l’evento o la fiction. È avvilente dover rendere conto e non per il prodotto».
Come si fa satira nell’Italia deberlusconizzata?
«Lei è sicura che l’Italia sia deberlusconizzata?».
Allora mettiamola così: come si fa satira nella tv deberlusconizzata? Berlusconi, e non è un merito, ha dato una grande mano ai comici.
«Su questo non c’è dubbio. Bisogna capire cosa resta, sarà interessante scoprirlo. Berlusconi era divertente per i comici – non per il Paese – non preparavi niente, “tanto” dicevi “qualcosa farà “. Anni con le stesse battute: i tacchi, le donne, le gaffe. Una noia mortale».
Come vede il Paese?
«Bisogna capire cos’è diventato. Da noi c’è l’impossibilita di essere normali, si passa da un estremo all’altro. Adesso c’è la punizione, un po’ fa bene dopo i bagordi. Ho rivisto un pezzo di Avanzi con la signorina Vaccaroni, interpretata da Cinzia Leone, che diceva: “È il baratro, la lira è quotata meno della pizza del fango del Camerun”. Oggi potresti sostituire la lira con l’euro ma il risultato non cambia. A pagare sono sempre gli stessi… Forse la Vaccaroni l’ha presa Monti come viceministro».
Con “Avanzi” e la “Tv delle ragazze” ha lanciato una generazione di comiche. Oggi chi le piace?
«Geppi Cucciari è una forza della natura, le nuove generazioni hanno acquisito sicurezza, c’è stato un miglioramento, sono figlie delle nostre battaglie. Abbiamo fatto grandi passi avanti, prima c’era solo l’immagine mortificata delle donne. Non è più così. Se t’incavoli da sola fai poco, la rabbia va incanalata. “Se non ora quando?” ha dimostrato che l’unione fa la forza».
Anche in televisione?
«Certo. Le carriere solitarie non esistono, il merito non è tuo ma del gruppo. Gli elementi migliori della mia generazione sono stati massacrati dall’ego».
Scrivere è una via di fuga?
«Mi è sempre piaciuto, nel libro sul giardinaggio ho raccontato la mia passione. A volte penso: forse è meglio che mi ritiro. E mia figlia Adele mi prende in giro: ma no, è bello che una signora della tua età sia ancora in pista».
Non c’è dubbio, l’aiuta a coltivare la famosa autoironia.
«Mia figlia è un bel tipo, grande viaggiatrice, impegnata, laureata in Lingue orientali. Mi corregge le bozze, è un editor severissimo. Sto scrivendo un nuovo libro sulle insicurezze delle donne della mia generazione. È arrivato il momento».
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