Da Tangentopoli a Fintecna gli affari del sottosegretario Milone
Da qualunque punto di vista si guardi la cosa, non è normale. Non è normale che un ministro dia udienza al suo sottosegretario e al termine dell’incontro il ministero emetta un comunicato. E di che tenore, poi. Ansa, primo dicembre: « Il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha ricevuto oggi il sottosegretario Filippo Milone. Durante il ” cordiale colloquio” il sottosegretario ha voluto tra l’altro ringraziare il ministro ” per le manifestazioni di considerazione e di fiducia che sono— riferisce il sottosegretario Milone — indispensabili per la proficua collaborazione” » . Da qualunque punto di vista si guardi la cosa, non è normale. Non è normale che un ministro dia udienza al suo sottosegretario e al termine dell’incontro il ministero emetta un comunicato. E di che tenore, poi. Ansa, primo dicembre: «Il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha ricevuto oggi il sottosegretario Filippo Milone. Durante il “cordiale colloquio” il sottosegretario ha voluto tra l’altro ringraziare il ministro “per le manifestazioni di considerazione e di fiducia che sono — riferisce il sottosegretario Milone — indispensabili per la proficua collaborazione”».
Riletto in controluce, quel comunicato che getta acqua sul fuoco fa capire intanto una cosa. Che il fuoco c’è. Non era del resto difficile accorgersene.
Era opportuno nominare sottosegretario alla Difesa l’ex consigliere dell’ex ministro Ignazio La Russa sei giorni dopo che già era stata resa nota quella intercettazione telefonica fra i manager di Finmeccanica Lorenzo Borgogni e Marco Forlani (costui incidentalmente figlio dell’ex segretario Dc Arnaldo Forlani)? Eccone un frammento. Marco: «Senti mi ha chiamato Filippo eh, che dice su, su quel discorso che facciamo ogni anno della loro offerta di partito a Milano eccetera…». Borgogni: «Di partito? Del ministero!». Marco: «…Credo sia una cosa del Pdl, no? Dice che te ne ha parlato a te pure». Il giorno seguente al giuramento dei sottosegretari Fiorenza Sarzanini riferisce sul Corriere che «durante l’interrogatorio di sabato scorso di fronte al pm Paolo Ielo a Borgogni è stato chiesto di chiarire a che titolo avrebbe versato soldi a Filippo Milone, ex capo della segreteria di La Russa». E per ora fermiamoci qui, in attesa dei risultati di quel chiarimento.
Ma è appena il caso di sottolineare come la Finmeccanica sia il principale fornitore della Difesa. E come lo stesso Milone fosse consigliere di una società di quel gruppo, la Ansaldo Sts: settore trasporti. Incarico dal quale ha rassegnato le dimissioni una volta nominato al governo. Ma non l’unico che il sottosegretario, per la serie conflitti d’interessi, ha avuto nelle aziende pubbliche. Qualche anno fa, per esempio, è transitato nel consiglio di amministrazione delle Poste.
Mentre non abbiamo ancora notizia ufficiale delle sue eventuali dimissioni dal collegio sindacale di una società che si chiama Quadrifoglio Real Estate srl. Collegio presieduto curiosamente dal presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua. La società in questione appartiene a Fintecna Immobiliare, cioè al Tesoro che è il proprietario del gruppo Fintecna. Holding statale che secondo gli esperti del settore potrebbe avere un ruolo importante nell’operazione di dismissione del patrimonio pubblico. Comprese magari le caserme della Difesa.
Ma Milone occupa anche una seconda poltrona del giro Fintecna immobiliare. Si tratta di un posto nel consiglio di amministrazione di Alfiere spa. È la società che Fintecna ha al 50% assieme ad alcuni privati riuniti nella Progetto Alfiere spa. Sono la Lamaro appalti della famiglia Toti, la Astrim di Alfio Marchini, il fondo immobiliare Fimit guidato da Massimo Caputi, la Tecnimont, la Immobiliare Fondiaria Sai di Salvatore Ligresti e la Eurospazio, i cui azionisti sono custoditi in due fiduciarie. Alfiere è l’impresa che dovrebbe realizzare un massiccio investimento immobiliare a Roma, con la trasformazione di tre torri alte 62 metri e di altri edifici al quartiere Eur, dove un tempo c’era il ministero delle Finanze, su progetto di Renzo Piano. Un’operazione fondiaria appetitosa, che prevede fra l’altro la realizzazione di locali commerciali e ben 350 appartamenti.
Che cosa c’entra Milone? C’entra evidentemente per Ligresti, costruttore e finanziere siciliano. Come siciliane sono le radici del sottosegretario, comunque milanese di nascita, e di La Russa. E la terra è un legame formidabile, a giudicare dai fatti. Il figlio di La Russa, Antonino Geronimo, è consigliere di amministrazione della holding di Ligresti Premafin. E Milone è presidente di Quintogest, impresa controllata da Fondiaria Sai. Nonché consigliere della Sviluppo Centro est, società fra Ligresti, Toti e i costruttori Santarelli. Ma in passato è stato molto di più. Negli anni ruggenti del tramonto della Prima Repubblica gestisce la Grassetto, poi finita come tutte le grandi imprese di costruzione nel vortice delle inchieste di Tangentopoli. E lui s’immola. A partire dal tintinnìo delle manette fino ai processi per corruzione subisce tutte le traversie di quella stagione. Da Messina a Napoli, ad Asti, a Padova. Sperimentando, a seconda dei casi, praticamente ogni brivido che la ruota della giustizia sa offrire: la prescrizione, l’assoluzione in secondo grado, la condanna definitiva con lo zuccherino della «riabilitazione». Per non farsi mancare proprio nulla, nel 1995 Milone arriva a mettere su con il futuro capo di una nuova Dc, Giuseppe Pizza, poi ritrovato nel 2008 al governo Berlusconi come sottosegretario all’Istruzione, una ditta di impianti elettrici. Che però dopo qualche anno va per aria. Niente paura: il Nostro è iper vaccinato.
Si narra che la sua carriera nelle costruzioni sia cominciata nell’impresa di Gaetano Graci. Proprio lui, uno dei Cavalieri di Catania, costruttori siciliani per decenni sulla cresta dell’onda quando negli anni Novanta vengono investiti dalle tempeste giudiziarie. A un certo punto Milone si trova addirittura in mano una piccola quota del 5%, chissà perché, in un’azienda di commercio all’ingrosso di carni di Placido Filippo Aiello, il genero di Graci. Finché nel 1993 la Ge.c.al. (così si chiama quella) va in liquidazione.
Per completezza d’informazione va detto che due anni dopo Aiello e il suocero si beccano una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. L’accusa dice che Cosa nostra aveva investito dei soldi nelle attività imprenditoriali di famiglia. Aiello patteggia 24 mesi. Passano dieci anni e la Guardia di Finanza lo accusa di aver trasferito in Svizzera 700 mila euro in barba alle regole del Fisco. Ma questa è un’altra storia.
Composto l’intero quadro non può tuttavia che restare il dubbio: era proprio opportuna la nomina di Milone?
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