Così esportano i capitali

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Palazzo Chigi, abbiamo un problema. Si chiama fuga di capitali all’estero. E’ ripartita tra giugno e luglio, quando il beneficio effimero dello scudo fiscale è stato sommerso dalle paure di default dell’Italia e dai timori di stretta fiscale. E si sta accentuando in queste settimane sulla scia della manovra di Mario Monti. Il decreto in discussione in Parlamento gira attorno al convitato di pietra che ha promesso di presentarsi tra febbraio e aprile del 2012, quando scadranno 92 miliardi di euro di obbligazioni dello Stato e bisognerà  pregare tutti i santi perché le aste di rinnovo vadano a buon fine. Ma se per quella data i grandi patrimoni nazionali si saranno trovati un rifugio sicuro e redditizio nei soliti paradisi svizzeri, lussemburghesi o caraibici, ci sarà  poco da fare. Riforma delle pensioni, privatizzazioni e altri provvedimenti della manovra si mostreranno per ciò che sono: palliativi.

La squadra economica di Monti, da Piero Giarda a Vittorio Grilli, è troppo preparata per non saperlo. E il prelievo aggiuntivo sui capitali scudati nella misura dell’1 per cento nel 2012 e 2013 (e del 4 per mille in seguito) non è tanto mirato a recuperare qualche centinaio di milioni di euro.

I tempi supplementari dello scudo servono a fare il punto delle ricchezze italiane all’estero a partire dall’unico elemento di identificazione certo che è il database di conti correnti, immobili e cassette di sicurezza con gioielli o quadri d’autore legalizzati tra la fine del 2009 e la prima metà  del 2010. La salvezza dei conti pubblici sta nel blocco della nuova emorragia. Peccato che l’arsenale di chi può scansare la manovra sia sempre ben fornito. Nella partita fra guardie e ladri dove si gioca il futuro dell’Italia, i cattivi hanno molti soldi e molte vie di fuga. La scappatoia più vicina, come da tradizione, è la Svizzera. A giugno del 2011 la stima dei depositi bancari nei vari cantoni era di 4.253 miliardi di franchi, oltre il doppio del Pil italiano, con una crescita del 10 per cento rispetto al 2010. Oltre metà  di questa ricchezza, per un valore di 2.254 miliardi di franchi, è straniera.

La stima del tesoro salva-Italia depositato nei cantoni elvetici oscilla fra i 150 e i 400 miliardi di euro. Se si applicasse un prelievo del 25 per cento come quello stabilito qualche mese fa dagli accordi bilaterali Svizzera-Germania e Svizzera-Regno Unito, il fisco italiano recupererebbe una cifra tra 37,5 e 100 miliardi di euro. Ci sono state guerre per molto meno.

Ma invadere la Confederazione Elvetica non è solo poco etico. E’ anche inutile. La Svizzera è l’equivalente finanziario di una portaerei. I soldi arrivano lì in prima battuta. Spesso in Canton Ticino. Ma chi esporta capitali ormai non si sente sicuro. Il segreto bancario svizzero è sotto assedio da ogni lato. Quindi, meglio decollare in fretta verso cieli più sicuri. Quali sono le tappe successive della fuga di denaro? “L’Espresso” lo ha chiesto a chi dà  la caccia al denaro e a chi il denaro cerca di nasconderlo.

UN OMBRELLO PER GLI EVASORI.
I 105 miliardi di euro legalizzati con l’ultimo scudo fiscale sono passati attraverso gli intermediari autorizzati. Cioè, fiduciarie, sim, sgr e banche che agiscono da sostituto di imposta.

E’ stato Giulio Tremonti a chiedere loro di sborsare tra il 5 e il 7 per cento. E sarà  a loro che Monti chiederà  l’ulteriore prelievo. Gli intermediari hanno tenuto per sé i nomi di chi aderiva allo scudo e hanno proceduto al rimpatrio fisico, con ritorno dei beni in Italia, oppure giuridico, con il mantenimento dei beni all’estero. Primo problema: chi ha sciolto il rapporto con l’intermediario dopo avere pagato la somma prevista dalla legge può sfuggire al prelievo aggiuntivo purché abbia interrotto per tempo il rapporto e abbia trasferito i beni altrove. Il testo della manovra ha previsto che si possa chiedere all’intermediario di rivelare all’Agenzia delle entrate il nome del cliente che ha terminato il rapporto. Insomma, soldi in cambio di anonimato. Ma è un intervento di dubbia efficacia.
Oltre la metà  degli scudi fiscali realizzati nel 2010 sono esterovestiti. Chi ha dovuto legalizzare una casa a Lugano, l’ha conferita a una società  che ha affidato le quote in gestione a una delle 700 fiduciarie ticinesi che hanno fatto perdere le tracce del proprietario finale. Lo schema si chiama scudo a ombrello e si può ripetere sotto forme ancora più sofisticate, spostando i soldi in paesi non collaborativi come il Liechtenstein o gli Stati delle Antille. Lì l’anonimato è garantito.

SINGAPORE, VADO A SINGAPORE
La nuova mecca del binomio evasione-riciclaggio è Singapore dove ogni banca svizzera che si rispetti ha aperto una branch. Il caso Enelpower, un processo per 27 milioni di euro di tangenti avviato da Francesco Greco nel 2003 e arrivato alla sentenza di primo grado nello scorso settembre, ha mostrato che gli istituti di credito elvetici provvedevano a trasferire il denaro dei corrotti per via telematica verso il paradiso asiatico. Lì l’azione di recupero dei fondi si è rivelata impossibile anche per la magistratura. Ma ormai tutti i circuiti di alto livello funzionano con le compensazioni tra banche che sfuggono alle maglie del monitoraggio fiscale dei movimenti valutari e consentono di applicare commissioni robuste.

La Svizzera ha dovuto cercarsi nuove sponde in quanto Paese segnato sulla lista nera del fisco italiano. La black list comporta l’inversione dell’onere di prova: gli italiani con patrimoni o attività  industriali oltre la dogana di Ponte Chiasso devono giustificarne l’esistenza e la legittimità . Una società  italiana che paga una fattura a una società  elvetica deve essere in grado di fornire le prove dell’attività  economica. L’Austria non ha questo problema. Il governo di Vienna ha varato una legge che prevede una sorta di pedaggio dell’1 per cento se il denaro in arrivo dall’estero viene immediatamente trasferito altrove. Basta quindi che una società  austriaca stipuli un contratto fasullo con un’impresa italiana, si faccia pagare la fattura e giri subito il denaro in Liechtenstein o nella stessa Svizzera. In questo caso, dovrà  essere il fisco italiano a provare che il rapporto è fittizio. Il che complica parecchio le cose.

POLIZZA A DUBLINO E VILLA A CIPRO
La portaerei svizzera è efficiente nella prima fase, quando garantisce il segreto. In seconda battuta, sono meglio i trucchi garantiti dai Paesi in regola, dove spetta al fisco italiano provare l’evasione. Lo si vede in altre pratiche alla moda.

Ci si può organizzare una polizza vita in Irlanda per mascherare una gestione patrimoniale. Si manda a Dublino un gruzzolo di euro e la legge locale permette di investirli in prodotti ad alto rischio, cosa che è vietata alle assicurazioni in Italia. In più, il capital gain applicato a una polizza gode di una tassazione vantaggiosa rispetto a quella applicata agli altri investimenti mobiliari.

Sempre in ambito Unione stanno avendo un grande successo i trust di diritto britannico. L’Assofiduciaria, che raccoglie le 300 fiduciarie autorizzate dal ministero dello Sviluppo economico, ha calcolato che ben 700 di questi trust sono presenti nelle catene di controllo delle imprese italiane, con preferenza per le società  di shipping o del settore armamenti. La legge di Londra stabilisce che se il co-trustee, uno degli amministratori fiduciari, è straniero, per esempio neozelandese, il trust diventa apolide e tutto quello che c’è dentro è esente da tasse.

Anche le holding lussemburghesi sono una sicurezza per chi evade, visto che consentono di schermare il beneficiario fisico con numerosi intermediari. Ma questo è un vecchio cavallo di battaglia dell’evasione. La nuova frontiera – e l’Inps non mancherà  di apprezzarlo – sono i pensionati con trattamenti da centinaia di migliaia di euro annui che fingono di andare a vivere a Cipro sulla falsariga dello schema londinese del “resident but not domiciled” che già  ha inguaiato la star del MotoGp Valentino Rossi.

INDEBITARSI CON LO SCUDO
Chi ha investito i soldi dello scudo fiscale in attività  poco liquide avrà  parecchi problemi. Lo stesso vale per quei pochi che hanno usato i tesoretti esteri a beneficio dell’azienda. E’ il caso di un imprenditore in crisi del Nord-est che ha recuperato i soldi dal Canton Ticino e li ha messi sui conti dell’azienda a titolo di prestito non fruttifero. La somma scudata era intorno ai 20 milioni di euro, che oggi sono già  stati in parte erosi dai debiti dell’azienda. L’imprenditore è ora a corto di liquidità  e con l’aggiunta dell’1 per cento di “tassa sull’anonimato” deve pagarne altri 400 mila nel biennio 2012-2013. Non avendoli, dovrà  chiederli in prestito. In ogni caso, il suo intermediario procederà  al prelievo per girare la somma all’erario. Su questo, infatti, non c’è da avere dubbi. I sostituti di imposta si rivarranno sui clienti sia girando allo Stato denaro dalle disponibilità  liquide sia disinvestendo denaro impegnato. E se erano titoli della Borsa a picco, la minusvalenza teorica diventerà  perdita effettiva.
FREGATURE ON LINE
In attesa che la manovra si definisca con i vari emendamenti, fra i quali un possibile prelievo dello 0,1 percento annuo su attività  finanziarie estere regolari di cittadini italiani, le società  di servizi specializzati in esportazione dei capitali moltiplicano le loro offerte. Gli evasori con canali sperimentati sanno già  a chi rivolgersi. La lista Pessina, con 500 nomi affidati alle cure dell’avvocato svizzero Fabrizio Pessina e a Mario Merello, il marito della cantante Marcella Bella, è il prototipo di una rete di servizi di consulenza a 360 gradi.

L’intervento della Guardia di Finanza e gli arresti disposti dalla magistratura ha un po’ guastato l’alone di efficienza di questo genere di network. Ma la corsa ai conti esteri non si è fermata per un incidente di percorso.

Per i debuttanti e per chi non ha conoscenze, c’è sempre la Rete. Il Web pullula di offerte a pacchetto di weekend a Lugano con visita al casinò e alla fiduciaria. Sembrano tanto stangate per i desperados dell’evasione. Se così è, nessuno salvo i diretti interessati ci piangerà  sopra. Forse, però, ci sono sistemi migliori per arrivare all’equità  fiscale.


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