Conti in Svizzera, perché Roma non firma
MILANO — Il paragone più calzante è quello degli Orazi e dei Curiazi: non potendo affrontare da solo tre nemici in una volta sola, l’ultimo Orazio sopravvissuto nel mitologico combattimento comincia a farsi inseguire rompendo il fronte avversario e riuscendo in questo modo a duellare con un rivale alla volta. Fino a risultare vincitore. La piccola Svizzera, assediata dalla comunità internazionale a caccia dei capitali rifugiatisi nelle banche di Lugano e Zurigo, sta adottando la stessa tattica, e fino a oggi con successo. L’Europa, che tutto avrebbe da guadagnare facendo fronte compatto sulla tassazione dei conti off shore è invece divisa e indecisa sulla linea da tenere con Berna. Ecco perché il ministro Giarda due giorni fa ha annunciato in Parlamento che l’Italia al momento rinuncerà a cercare un accordo con la Svizzera sui soldi fuggiti a nord delle Alpi.
L’origine della controversia è una convenzione con l’Ocse che il parlamento elvetico ratifica nel settembre del 2009: con esso la Svizzera accetta di tassare i capitali stranieri confluiti nei suoi forzieri e di girare l’imposta ai Paesi di origine dei correntisti. In cambio ottiene il no alle temutissime fishing expeditions, vale a dire la trasmissione indiscriminata di dati fiscali sulla sua clientela. Le banche pagano, in altre parole, ma il segreto bancario è salvo.
La convenzione Ocse non entra in vigore automaticamente ma deve essere preceduta da trattati internazionali con i singoli governi. E qui il fronte si spacca. Germania e Gran Bretagna (i cui cittadini custodiscono in Svizzera secondo alcune stime rispettivamente 80 e 20 miliardi di euro) approfittano al volo dell’opportunità e nei primi mesi del 2011 firmano con Berna accordi in base ai quali sui conti svizzeri viene applicato un duplice prelievo con aliquote oscillanti tra il 25 e il 34%. Analogo patteggiamento viene offerto a Italia, Francia e Grecia.
Ma qui arriva lo stop dell’Unione Europea. «Gli accordi sottoscritti da Germania e Gran Bretagna sono casi da non ripetere» ammonisce il 15 novembre scorso Algirdas Semetas, commissario Ue alle questioni fiscali, minacciando sanzioni. Tre le obiezioni avanzate: prima, è meglio puntare a un accordo unico con la Svizzera per non creare condizioni di disparità tra Stati dell’Unione che creerebbero movimenti anomali di capitali; seconda: c’è una direttiva comunitaria che fissa al 35% l’aliquota da applicare alla Svizzera e quelle concordate da Londra e Berlino sono più basse; terza: gli accordi sottoscritti perpetuano l’anonimato degli esportatori di capitali e questo non va bene. E a questa linea si conforma il ministro Giarda nella sua risposta di due giorni fa a Montecitorio.
«L’Italia ricaverebbe solo vantaggi dalla firma di un’accordo con noi – dichiara il deputato elvetico Dick Marty, che a settembre aveva intavolato la trattativa con Roma – perché otterrebbe subito denaro per le sue casse in crisi. Ma evidentemente Roma in questo momento non vuole o non può aprire un contenzioso con Bruxelles».
«E invece la questione va riaperta – dice da Roma il deputato pd Francesco Boccia – perché non possiamo aspettare i tempi lunghi della Ue. Intanto tassiamo i capitali degli evasori e quando l’Europa avrà trovato una sua linea comune, anche l’Italia si adeguerà ».
Claudio Del Frate
Related Articles
«Fiat Chrysler insieme per la svolta» Su marchi e nuovi modelli 55 miliardi
Fiat e Chrysler. Il piano di Marchionne: «In 5 anni 7 milioni di auto e liberi dal debito» Per l’Alfa Romeo 5 miliardi in Italia. «Ferrari non si vende»
Che senso ha morire per il lavoro
Viviamo tempi violenti, pervasi, come ha affermato ieri Mario Monti, da una «profonda tensione sociale». Di cui è indice – e fattore – il riemergere del terrorismo.
A un anno dal diluvio
È passato esattamente un anno da quando il diluvio si è abbattuto sul Pakistan: giorni di piogge eccezionalmente copiose hanno gonfiato l’Indo, il fiume che nasce sulla parte occidentale dell’Himalaya per poi scendere attraverso il Punjab e il Sindh fino al mare Arabico.