Conti a Lugano, Segreto in bilico

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MILANO — Se i Maya avevano collocato la fine del mondo nel 2012, per la Svizzera tale limite potrebbe essere spostato cinque anni più avanti, nel 2017. I discendenti di Guglielmo Tell toccano ferro, ma da quella data potrebbe dissolversi quel mondo di neutralità  e riservatezza che la Confederazione Elvetica si è costruita in oltre cinque secoli: la scadenza coinciderà  infatti con l’entrata in vigore della direttiva europea in base alla quale Bruxelles pretenderà  un prelievo del 35% su tutti i capitali svizzeri depositati da cittadini comunitari e lo scambio automatico dei dati fiscali. Sarebbe la fine del segreto bancario e delle attività  off shore così come le conosciamo oggi. Per questo Berna negli ultimi mesi si è data da fare per raggiungere accordi con i singoli stati europei sulla tassazione dei capitali in fuga in modo da scongiurare la stangata del 2017. La tattica per il momento ha premiato, come è noto, riuscendo a dividere il fronte europeo.

L’Euroritenuta
Per i governi dell’Eurozona (e non solo loro) in asfissia finanziaria, poter mettere le mani sui tesoretti elvetici sarebbe come vincere alla lotteria. Oggi infatti la pressione fiscale sui soldi fuggiti all’estero è risibile. Le convenzioni in vigore prevedono solo la cosiddetta «euroritenuta» pari al 35% degli interessi sui conti correnti; il prelievo, si badi bene, riguarda le persone fisiche e non le società , sicché chiunque può aprirne una a Lugano o a Zurigo e farvi confluire lì i capitali. Risultato? Nel 2010 l’Italia ha incassato appena 100 milioni in euroritenute a fronte di un gettito potenziale, se dovesse scattare la trappola del 2017 di qualche miliardo l’anno. «Il meccanismo attuale — spiega Giancarlo Cervino, direttore del Centro di studi fiscali di Lugano — rende ancora conveniente l’export di capitali in Svizzera. Il bollettino di Bankitalia segnala che nell’ultimo anno in Italia sono stati prelevati da conti correnti 340 miliardi che sono spariti dalla circolazione. Ora, poiché i consumi sono stagnanti è facile prevedere che parte di quel denaro abbia preso la strada di approdi sicuri, come la Svizzera».
Le intese bilaterali
Per invertire la rotta, ecco il varo della nuova direttiva europea che prevede non solo la tassazione al 35% di ogni rendita da investimento, non solo l’estensione della base imponibile anche alle società  ma soprattutto lo scambio automatico dei dati. Significa in pratica che se il signor Rossi parte da Milano con la valigetta di contanti e li deposita in una banca a Lugano, quest’ultima è obbligata ad avvertire immediatamente le autorità  italiane. La piazza finanziaria elvetica è terrorizzata da tale prospettiva ed ecco che a partire dal 2010 ha cercato di giocare d’anticipo chiudendo accordi al ribasso con i singoli Stati. È andata bene con Regno Unito e Germania, che già  dal 2012 incasseranno circa 2 miliardi l’anno rinunciando però a chiedere nomi e cognomi dei loro contribuenti con il conto in Svizzera. Berna paga, in altre parole, ma salva il segreto bancario.
La scomunica Ue
Su questi accordi è però piovuta la «scomunica» del commissario europeo alle politiche fiscali Algirdas Å emetas che ritenendole in contrasto con l’ormai nota scadenza del 2017 minaccia procedure d’infrazione contro Angela Merkel e David Cameron. E l’Italia? Il Paese che più paga dazio alle attrattive fiscali svizzere ha deciso di sposare la linea comunitaria, preferendo la gallina domani all’uovo garantito subito.
L’ex ministro Giulio Tremonti non ha mai risparmiato salaci commenti alla politica svizzera: «Ci sono più società  delle Isole Cayman a Lugano che nelle Isole Cayman» aveva dichiarato tagliente il 17 maggio scorso. Dalla Confederazione gli avevano restituito la pariglia con toni che vanno da quello diplomatico della presidente Micheline Calmy-Rey a quello sguaiato di Giuliano Bignasca, leader della Lega dei Ticinesi, che definisce abitualmente Tremonti «il fascetto Giulio», mentre l’Udc, partito della destra elvetica, lo ritrae come una pantegana. Nonostante ciò, a settembre un dialogo si era aperto tra i due Paesi, testimoniato da una dichiarazione di Lamberto Dini, presidente della commissione esteri del Senato: «Anche l’Italia deve sottoscrivere un accordo come Germania e Gran Bretagna». Un fuoco di paglia perché le parole a Montecitorio del ministro Giarda hanno chiarito che Roma si adegua in pieno alla linea di Bruxelles. Niente affatto una sorpresa, visto che Mario Monti, europeista a 24 carati, collaborò alla stesura del single market act che disegna l’armonizzazione fiscale tra tutti gli Stati Ue.

Muove Obama
Ma la Svizzera rischia di dover fare fronte a un nuovo attacco al suo segreto bancario, questa volta proveniente da Oltreoceano. Gli Usa il 31 agosto scorso, per mano del viceministro alla giustizia di Obama James Cole, hanno scritto a Berna: le autorità  americane vogliono conoscere i nomi di tutti i loro cittadini che hanno conti in Svizzera superiori ai 50 mila dollari. Washington già  nel recente passato non era andata per il sottile: nel 2010 aveva fatto la voce grossa con l’Ubs, ottenendo la lista dei clienti a stelle e strisce della banca elvetica. Stavolta viene addirittura minacciata la chiusura delle filiali rossocrociate sul territorio americano.


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