by Editore | 31 Dicembre 2011 9:28
Inducono perciò crescita a parità di risorse utilizzate, senza attingere alle dissestate casse dello Stato. Se accompagnate, ad esempio mediante l’introduzione di un salario minimo e al varo della legge sulle rappresentanze sindacali, a misure che rafforzino quel legame più stretto fra salari e produttività che viene esplicitamente auspicato nell’accordo tra sindacati e Confindustria del 21 settembre scorso, le liberalizzazioni e le riforme del mercato del lavoro porterebbero anche a una significativa creazione di nuovi posti di lavoro.
Ma è giunto il momento di andare ben oltre i titoli dei singoli interventi. Se il Consiglio dei ministri ha raggiunto, com’è auspicabile, un accordo al suo interno sulle misure per la crescita, bene che le comunichi al più presto nella loro interezza al Paese. L’indecisionismo del governo Berlusconi ha creato una crescente insofferenza per gli annunci generici di piani prossimi venturi e la crisi ha portato con sé una fatica per le riforme ventilate solo per saggiare le reazioni dell’opinione pubblica, per la politica dei ballon d’essai. C’è oggi tra i cittadini una forte e comprensibile avversione per l’incertezza normativa. Bene perciò definire riforme che tengano già in partenza conto del profilo, della forza e della legittimità dell’opposizione che incontreranno sul loro cammino. Servirà per essere equi e al contempo spezzare il fronte degli interessi corporativi. Ad esempio, la feroce opposizione dei tassisti ad ogni significativo incremento delle licenze si spiega non solo con le perdite che potrebbero soffrire nei loro redditi mensili, ma anche e soprattutto con le pesanti perdite in conto capitale legate alla svalutazione della licenza che pensano di vendere una volta cessata la loro vita lavorativa, come se fosse la loro liquidazione. Per questo sarebbe opportuno assegnare ai taxisti una quota delle licenze di nuova emissione, che potranno così rivendere assieme alla licenza già in loro possesso in modo tale da contenere le perdite in conto capitale. Nel caso del mercato del lavoro non si vede perché mettere in discussione l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quando si può ridurre fortemente il costo dell’incertezza per il datore di lavoro che sta riempiendo un posto vacante permettendogli di assumere con un contratto a tempo indeterminato a tutele progressive.
Infine, più ampio sarà lo spettro delle liberalizzazioni, più convincente potrà essere agli occhi dell’opinione pubblica. Non è solo una questione di equità . Il fatto è che queste riforme tipicamente hanno costi concentrati su platee relativamente ristrette e benefici dispersi su milioni di cittadini. Per rendere maggiormente evidenti i benefici bisogna perciò che ci siano riforme significative su tanti settori di attività . A quel punto il contrasto fra gli interessi corporativi e il bene del Paese risulterà ancora più evidente.
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