Colpo alla ‘ndrangheta dei colletti bianchi in manette anche un magistrato calabrese

by Sergio Segio | 1 Dicembre 2011 7:27

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MILANO – Dai «rozzi», dalla manovalanza che intimidisce i commercianti che non pagano il pizzo, o gli «strozzati» in ritardo con i pagamenti, ai vertici. A quel gruppo malavitoso «più raffinato e imprenditoriale», capace di gestire affari, investimenti, ma soprattutto i «rapporti politico-istituzionali».
La retata scattata ieri all’alba sull’asse Milano-Reggio Calabria, sembra aver «completato l’opera», decapitato i vertici del clan della ‘ndrangheta nato dal connubio delle famiglie Valle-Lampada, da anni trapiantate nei comuni dell’hinterland milanese. Rafforzando il convincimento della Direzione nazionale antimafia, che nell’ultima relazione ha denunciato la «capacità  di colonizzazione» della ‘ndrangheta nel Nord Italia.
Nel luglio 2010, l’operazione Infinito aveva portato in cella 160 persone per associazione mafiosa. Ieri, con accuse che parlano anche di corruzione, corruzione giudiziaria, rivelazione del segreto d’ufficio, in carcere sono finite «solo» nove persone. Ma si tratta dei capi. Di Giulio e Francesco Lampada, di Leonardo Valle, capaci di trattare con i Monopoli di Stato per ottenere una concessione in esclusiva per gestire le scommesse on line o gli incassi delle slot machine sparse per il Nord. Ma anche di avere in pugno il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, Giuseppe Giglio (è accusato di corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio e sul suo coinvolgimento si leva “lo sconcerto” della Anm), essere ricevuti a casa sua, sapere se su di loro sono in corso indagini, intercettazioni, accertamenti. E nella rete c’è anche il consigliere regionale del Pdl calabro, Francesco Morelli, capace di avvicinare i più alti livelli delle istituzioni, per assecondare il business della cosca, avere una partecipazione diretta nella società  di scommesse. Oppure un legale, Vincenzo Minasi, che per l’accusa era in grado di fornire «documenti riservati», dove si dà  atto delle verifiche della «squadra mobile su un’indagine sul clan per usura e riciclaggio», anticipando l’arrivo di arresti, «che avverranno dopo le elezioni». E in mano ai clan, dai quali avrebbe ottenuto in quattro anni quasi 400 mila euro, c’era anche un maresciallo delle Fiamme gialle, Luigi Mongelli, in servizio a Monza, che li avvertiva di possibili verifiche fiscali ai danni delle società  della «famiglia». A piede libero è indagato anche un altro magistrato, Giancarlo Giusti, conosciuto per i suoi interventi su riviste di diritto e giudice a Palmi. È accusato di corruzione in atti giudiziari. Ieri, gli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria e di Milano, hanno perquisito i suoi uffici. A lui, il clan della famiglia Valle e Lampada, avrebbe riservato 27 mila euro per spassarsela a Milano. Otto trasferte in Lombardia, ospite dell’hotel Brun, sempre in compagnia di ragazze a pagamento, quasi tutte di origine slava. Se l’ordinanza del gup milanese Giuseppe Gennari, firmata su richiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dei pm Alessandra Dolci e Paolo Storari, analizza soprattutto il ruolo dei vertici del clan, su più punti svela anche le presunte coperture politiche locali, raccontando come in questa inchiesta risultano altri soggetti indagati a piede libero. Affibbiando il ruolo di referente a livello provinciale al consigliere dell’Udc, Antonio Oliveiro, a livello comunale all’esponente del Pdl, Armando Valiati. Entrambi vengono intercettati al telefono con i vertici della cosca dei Valle-Lampada.

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