by Editore | 21 Dicembre 2011 9:30
I soldati egiziani volevano punirla e umiliarla. Ma piazza Tahrir l’ha scelta come propria icona e, ieri, ha portato con orgoglio la sua immagine in processione. La chiamano «la ragazza con il reggiseno blu». Dopo il blogger Khaled Said, torturato a morte dalla polizia ed eletto a simbolo della rivoluzione del 25 gennaio, e dopo il dentista Ahmed Harara cui i proiettili dei cecchini hanno strappato entrambi gli occhi, ora il simbolo della piazza che non accetta più il potere dell’esercito è quella ragazza inerme che sabato al Cairo è stata trascinata per le braccia, colpita con bastoni di legno e presa a calci dai soldati. Alla fine è rimasta immobile, sull’asfalto. Indossava i jeans, le scarpe da ginnastica. Aveva il torso nudo. La tunica destinata a nascondere con modestia le forme del corpo e forse i capelli le era stata strappata dal petto, rivelando le braccia delicate, lo stomaco candido, il reggiseno blu. Il volto era invisibile, coperto dai resti dell’abito. La ragazza — un’attivista — ha chiesto che il suo nome non sia reso pubblico, ma il video in cui viene picchiata ha fatto il giro del mondo. E mentre negli ultimi cinque giorni di scontri tra l’esercito e i dimostranti, i morti — quasi tutti colpiti da proiettili – sono almeno 13, l’immagine di quel reggiseno blu catalizza e accresce la rabbia.
Tra le condanne internazionali, la più dura è stata quella del segretario di Stato Usa Hillary Clinton, il cui Paese fornisce ogni anno 1,3 miliardi di aiuti militari al Cairo. «Le donne sono state picchiate e umiliate nelle stesse strade in cui hanno rischiato la vita per la rivoluzione — ha detto —. Le manifestanti sono state arrestate e sottoposte a orribili abusi. Le giornaliste sono state aggredite sessualmente e ora le donne vengono attaccate, denudate, picchiate in strada. Questa sistematica degradazione delle egiziane disonora la rivoluzione, è un’onta per lo Stato e le sue divise e non è degna di un grande popolo». Hillary ha rimproverato «sia le autorità militari che i maggiori partiti politici» per aver escluso le donne dalla transizione che dovrebbe portare alle presidenziali entro giugno (ma la piazza chiede entro febbraio). E le egiziane ieri si sono fatte sentire. Donne velate e donne con i capelli sciolti, mamme e ragazzine, una signora con un reggiseno disegnato sulla maglietta: erano migliaia e hanno marciato attraverso piazza Tahrir gridando all’unisono «le donne dell’Egitto sono la linea rossa». L’obiettivo è sconfiggere quella che chiamano la «strategia della vergogna». Nel 2005, durante le proteste contro i brogli elettorali, gli scagnozzi di Mubarak molestavano le donne per intimidirle. La Giunta militare che ha preso il potere alla caduta del Raìs, ai loro occhi, usa gli stessi metodi. A febbraio, 17 ragazze arrestate in piazza sono state sottoposte a «test di verginità ». Ma una di loro (una sola), la parrucchiera Samira Ibrahim, ha avuto il coraggio di denunciare l’esercito. «Un incidente isolato»: così il generale Adel Emara ha definito il caso della ragazza con il reggiseno blu, promettendo una inchiesta. Non è così: un’anziana donna che porta cibo ai manifestanti, nota come mamma Khadija, è stata schiaffeggiata e umiliata, altre ragazze sono state picchiate. La Giunta nega di aver ordinato l’uso della forza, e ha accusato i manifestanti di complottare per dar fuoco al Parlamento. Ma i media hanno mostrato che a lanciare i molotov sono sia i manifestanti che i soldati, dai tetti. La ragazza con il reggiseno blu «è in condizioni molto gravi», ha detto al Times un giornalista picchiato mentre tentava di soccorrerla. «Non esce più di casa. Teme che la Giunta l’arresti». Ma è consapevole della forza che la sua umiliazione ha scatenato. «Non importa se parlo o no. Quello che mi hanno fatto dice già abbastanza».
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