Bot a ruba, tassi in calo ma la strada resta in salita altri 440 miliardi da collocare
MILANO – Due ore di (quasi) euforia. Poi la solita bufera. Non c’è pace per l’Italia sul mercato dei titoli di Stato. L’asta dei Bot di ieri è stata un successo: le banche – aiutate dalla liquidità in saldo garantita dalla Bce – sono intervenute in massa e il Tesoro è riuscito a collocare senza problemi 9 miliardi di Buoni semestrali a un tasso-bonsai (visti i tempi che corrono) del 3,251%. La metà di quel 6,5% che il mercato aveva preteso per investire sul debito tricolore a fine novembre, un risultato applaudito pure – dicono fonti governative – da Mario Monti.
Lo spread sui titoli decennali tedeschi, lì per lì, ha festeggiato la buona notizia scendendo dai 520 punti dell’apertura ai 482 di fine mattinata, mentre Piazza Affari provava a mettere il turbo. L’entusiasmo però è durato poco. Roma dovrà affrontare oggi un secondo esame molto più complicato: il collocamento di 8,5 miliardi di Btp da tre fino a 10 anni. Il timore degli investitori è che su queste scadenze più lunghe l’Italia sia costretta a pagare un pedaggio (in termini di rendimenti) molto più salato. E il barometro dei mercati – complici anche le tensioni Usa-Iran per la possibile chiusura dello stretto di Hormuz – è tornato subito sul brutto tempo: lo spread è scivolato in serata a quota 503 con i tassi sui decennali a un passo dalla soglia psicologica del 7%. Mentre Piazza Affari si è accodata alla giornata no delle altre Borse internazionali (Francoforte e Madrid hanno perso il 2%) chiudendo in calo dello 0,85%.
Un’asta con il botto
Chi si accontenta, però, gode. E di sicuro l’asta di ieri, in attesa della controprova di oggi, è andata bene. La domanda è stata altissima: 15,7 miliardi contro i 9 miliardi di Bot offerti, il doppio per gli 1,73 miliardi di Ctz a due anni. E il crollo dei rendimenti è un’eccellente notizia per un Paese che deve sborsare ogni anno tra gli 80 e i 100 miliardi di interessi per finanziare il proprio debito e che tra luglio e ottobre ha già visto alzarsi di 4 miliardi la bolletta su questo fronte causa caro-tassi.
Un contributo decisivo al successo dell’asta – Roma spera in un bis per oggi – è arrivato dalle banche. Nei giorni scorsi la Bce ha garantito agli istituti di credito un fiume di liquidità (489 miliardi) a un tasso da saldo dell’1%. E gli istituti di credito tricolori, dicono gli operatori, hanno usato un po’ di questo tesoretto – loro hanno incassato da Mario Draghi 116 miliardi – per far scorta di Bot.
L’Italia resta comunque la maglia nera d’Europa sul ring della crisi dei debiti sovrani: il rendimento dei Ctz a due anni è sceso ieri dal 7,81% di novembre al 4,85%. Madrid però è riuscita a piazzare nei giorni scorsi lo stesso titolo pagando solo il 2,04% mentre i biennali tedeschi, beati loro, rendono lo 0,16%.
Il risultato sta nei numeri: il Tesoro è stato costretto a garantire 145 milioni di interessi totali ai risparmiatori che ieri hanno sottoscritto la sua asta di Bot. Certo, noccioline rispetto ai 297 che ha dovuto mettere sul piatto a fine novembre a causa dei rendimenti-choc registrati all’asta. Molto di più però dei 58 che sborsava a inizio anno, quando i semestrali, bei tempi, rendevano l’1,3%.
le termopili a inizio 2012
La parola d’ordine, insomma, è sempre la stessa: prudenza. Magari l’asta di oggi smentirà i timori delle Cassandre, andando meglio del previsto. Ma non basterà a portare il sereno all’orizzonte. Il Tesoro dovrà emettere nel 2012 circa 440 miliardi di titoli di Stato per finanziare il nostro debito. Un primato continentale che nessuno ci invidia, ben davanti ai 366 della Francia, ai 172 della Spagna e ai 238 della Germania. E siccome piove sempre sul bagnato, le Termopili tricolori arriveranno a stretto giro di posta tra febbraio e aprile, quando l’Italia dovrà piazzare almeno 150 miliardi di titoli in meno di tre mesi. Una passeggiata fino a qualche mese fa. Una via crucis da brividi oggi, in un’Europa dove le banche non si prestano nemmeno più soldi tra di loro – come dimostra la montagna di liquidità parcheggiata dagli istituti presso la Bce allo 0,25% di interesse – e dove il Belpaese sembra essere diventato il bersaglio preferito della speculazione impegnata nella sua titanica battaglia contro l’euro.
Il problema, oltretutto, è che la competizione per raccogliere i pochi soldi che ci sono sul mercato (i fondi monetari americani hanno chiuso da tempo i rubinetti, sospendendo gli investimenti in Italia ed Europa) è altissima. I numeri li ha dati Mario Draghi: solo nel primo trimestre del 2012 scadranno 230 miliardi di obbligazioni bancarie, 300 miliardi di titoli pubblici e 200 di debito a collaterale. E il rischio è che con una domanda altissima e un’offerta rarefatta, chi avrà denaro da prestare lo farà solo a tassi sempre crescenti. Un lusso che l’Italia non si può permettere visto che la soglia del 7% dei decennali è il punto di non ritorno che ha costretto Grecia, Portogallo e Irlanda ha chiedere l’aiuto di Bruxelles e del Fondo Monetario.
la prudenza del mercato
Con questo orizzonte ad ostacoli, non c’è da stupirsi se il mercato resta sul chi vive, tenendo sotto pressione i titoli di Stato italiani e quelli dei nostri compagni di sventura dei Paesi dei Piigs.
L’ingorgo di emissioni a inizio 2012 è solo uno dei tanti problemi sul tavolo. C’è il capitolo della recessione – ormai conclamata in Italia, ma uno spettro che rischia di materializzarsi persino per la Germania – c’è il nodo della Grecia a caccia di un accordo con le banche che saranno costrette a rinunciare a qualcosa come il 50% dei loro crediti. Una mazzata che potrebbe scoraggiarle da prendere posizione di nuovo sui bond dei Paesi più a rischio. E c’è l’eterna incognita delle agenzie di rating, che da qualche anno a questa parte hanno mostrato uno tempismo straordinario nel dare il colpo di grazia alle nazioni più in difficoltà , con una cronica tendenza a bocciarle proprio nei momenti di maggior crisi.
Le occasioni, in teoria, non mancano. C’è la tripla A della Francia a rischio che potrebbe cadere in tempi brevi. Qualcuno è arrivato a mettere in dubbio persino il massimo voto per la Germania. E S&P potrebbe spingere l’Italia nel girone infernale della tripla B, un abisso che renderebbe ancor più complicato il nostro accidentato futuro. Una rondine come l’asta dei Bot di ieri, purtroppo, non basta ancora a far primavera.
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