Bimbi Affamati, Internet per i Capi Cartoline dalla Fortezza Comunista
Anche il pianto del 1994, quando una Pyongyang simile — ma non uguale — a quella di oggi si disperava per la fine terrena di Kim Il-sung. Lo stesso sale, ma in Corea del Nord è il sale di una nazione che si sente in guerra col mondo, assediata. Ed è vero, perché dopo la guerra del 1950-53 sul 38° Parallelo né altrove venne mai siglato un accordo di pace. Così a Pyongyang sono le forze armate a contare più di tutto: la Corea del Nord è plasmata sulla politica del «Songun», «prima i militari», elaborata e portata all’estremo da Kim Jong-il. Sono loro, un milione e 200 mila (più quasi 6 milioni di riservisti), ad assorbire la fetta maggiore di un Pil calcolato nominalmente su 1.800 dollari pro capite annui. E c’è, a tenere insieme il tutto, un nazionalismo parossistico e autarchico che talvolta fa diffidare persino degli «amici» cinesi: si chiama «Juche», altra elaborazione del Kim Jong-il filosofo. E lo spirito patriottico viene addirittura prima di un socialismo spacciato — anche questo — quasi di esclusiva produzione locale. Non socialismo e basta, ma socialismo coreano.
Rispondendo a una domanda del Corriere, una settimana fa il politologo americano Robert D. Kaplan avvertiva: «Le due Germanie, i due Vietnam, i due Yemen… In passato abbiamo sbagliato tutti gli scenari di Paesi divisi. Bisogna fare attenzione alla Corea». Barack Obama e l’omologo sudcoreano Lee Myung-bak si sono parlati al telefono, ma la geopolitica su larga scala non esaurisce la specificità di un Paese sfuggente. Le immagini fatte circolare da missionari sudcoreani o transfughi riparati a Seul mostrano le scene di disperata miseria nelle province lontane dalla capitale-vetrina. Bambini a branchi, inselvatichiti, rabbiosi di fame. Altri video mostrano mercati dove si praticano embrionali forme di apertura economica, ciclicamente incoraggiate, tollerate, represse. Dai confini fluviali con la Cina passano, quando possono, commercianti improvvisati o chi fugge per non tornare.
Pyongyang invece resta la metropoli perfetta, anche ora che il gelo siberiano rallenta gli sforzi edilizi in vista del centenario della nascita di Kim Il-sung, 15 aprile 2012. Eppure l’opacità e la chiusura del regime producono all’esterno visioni sfasate. Se il razionamento alimentare perdura e l’esercito si prende le derrate migliori, entro la fine dell’anno si raggiungeranno il milione di utenze di telefonia mobile 3G, anche se il sistema non permette di uscire dal perimetro del «regno eremita». Internet come lo conosciamo noi non è accessibile alla massa, però l’élite lo usa, e nelle università funziona un Intranet. Il regime ha un Sito web, www.uriminzokkiri.com: isolati sì, fuori dal mondo no.
I manuali scolastici portano i segni di un desiderio di apertura, per quanto frenato dai tabù. Il britannico Stewart Lone, cattedra universitaria in Australia, ha sfogliato il più recente. Ha insegnato inglese a più riprese ai 13-15enni della scuola media Kumseong Numero Uno di Pyongyang e, di passaggio a Pechino, raccontava pochi giorni fa come nel nuovo libro «si parli di Paesi occidentali in modo selettivo ma non improprio: dell’Irlanda interessano la rivolta alla dominazione inglese, la grande carestia, l’esaltazione della cultura indigena; della Nuova Zelanda si enfatizza la presenza dei maori; del Sudafrica Mandela e la lotta all’apartheid». Curiosità per temi globali «come la crescita demografica, l’inquinamento, i problemi energetici». Pagine a distanza di sicurezza dell’ideologia. Ma si tratta dell’indizio che nulla è così immobile dietro la cortina di ferro e di bambù e lo scenario resta complicato: proprio come l’aneddotica sugli stravizi di Kim Jong-il — dvd, cognac, sushi, i miracoli assortiti cantati dalla propaganda — ha sviato a lungo le cancellerie occidentali, quando invece Madeleine Albright arrivò ad ammettere come il Caro Leader sapesse il fatto suo sui dossier chiave.
Mentre Pyongyang sperimenta nelle ore di punta i primi, limitati incolonnamenti d’auto — di fabbricazione cinese — e contempla le prime pubblicità , dalle province di tanto in tanto affiorano notizie di «incidenti» locali. Fame, rabbia, disaffezione. Tuttavia, riferiscono i transfughi a Seul, il biasimo spesso non va (non andava) a Kim Jong-il, ma ai «traditori» e agli «incapaci» che lo tenevano all’oscuro della realtà . Il Caro Leader era il patriarca benigno, come già il Grande Leader, Kim Il-sung. «Se l’erede Kim Jong-un ha capito cos’aveva in mente il padre — dice alCorriere Yu Yingli, ricercatrice dello Shanghai Institute for Foreign Studies — farà con lui quello che Kim Jong-il attuò con Kim Il-sung», ovvero inserirne nella Costituzione il ruolo post mortem: «Potrebbe essere l’unica via per consolidare il potere». Un corpo imbalsamato accanto all’altro nel mausoleo di Kumsusan, forse, potrà funzionare, almeno per un po’. Kim.1 e Kim.2 insieme, a maggior gloria di Kim.3. Tre Coree, quasi. E non è detto che quella di Kim Jong-un assomiglierà per sempre alle altre due.
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