by Editore | 12 Dicembre 2011 8:34
I bilanci provvisori delle violenze resi noti dalle organizzazioni che guidano le rivolte parlano di «almeno 26 morti» e decine di feriti. Centro degli scontri sono i villaggi del sud-ovest, non lontano dal confine con la Giordania. In quello di Busra al-Harir, una quarantina di chilometri dalla frontiera, almeno tre mezzi corazzati sarebbero stati dati alle fiamme. La «Syrian Observatory for Human Rights», l’organizzazione umanitaria basata a Londra che cerca di monitorare gli sviluppi della crisi siriana, segnala decine di arrestati e il ritrovamento di diversi cadaveri di attivisti rapiti nelle ultime settimane e quindi torturati a morte. In molti casi i soldati hanno fatto irruzione nei negozi costringendo i proprietari a riaprire le saracinesche. Oggi, giorno in cui si vota per il rinnovo delle municipalità , la situazione potrebbe essere ancora più tesa: i rivoltosi fanno appello all’astensione di massa.
Al cuore delle violenze ci sarebbe la presenza tra i manifestanti di un numero sempre più alto di disertori delle forze militari regolari passati tra le file del movimento rivoluzionario, portando con sé le armi personali e poi diventati la spina dorsale del nuovo esercito di liberazione. Un salto di qualità fondamentale nella dinamica del braccio di ferro con la dittatura. Nelle prime fasi delle rivolte lo scorso marzo, infatti, i manifestanti erano per lo più disarmati e mobilitati in marce e cortei nel tentativo di modificare il regime con le sole proteste pacifiche. È stata però la repressione violenta voluta dai duri della dittatura (la vecchia nomenclatura legata all’ex padre-padrone del Paese Hafez al Assad, morto nel Duemila), nonostante le promesse di facciata del figlio, l’attuale presidente Bashar Assad, per riforme e dialogo, a spingere sempre più numerosi i soldati a rifiutare di sparare sulla propria gente. Ieri scontri tra esercito regolare e disertori sono stati registrati a Hama, Homs, Idlib, nella provincia di Daraa. A Homs in particolare è attesa una pesante offensiva lealista entro due giorni. Le violenze sono tracimate anche nei Paesi vicini. Ad Amman una dozzina di manifestanti ha attaccato e dato fuoco all’ambasciata siriana (4 funzionari feriti). Nel Libano meridionale c’è invece allarme tra gli uomini del contingente internazionale Unifil (di cui fanno parte anche i soldati italiani) dopo che giovedì cinque militari francesi sono rimasti feriti in un attentato. Ieri il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, ha puntato il dito contro la Siria e la milizia sciita dell’Hezbollah.
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