Barca:”Non c’è una fase due il governo già  sta lavorando per rilanciare la crescita”

by Editore | 16 Dicembre 2011 8:05

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ROMA – «Questo governo sfugge alla logica dei due tempi. Non c’è prima il rigore e poi lo sviluppo: la fase due è già  cominciata. Abbiamo perso la battaglia su alcune liberalizzazioni? Ci sarà  la rivincita». Fabrizio Barca, ministro per la Coesione territoriale, ha appena terminato la conferenza stampa con il premier Mario Monti per presentare il Piano d’azione di coesione firmato con le Regioni meridionali. Barca parla di una «novità  assoluta». «Non annunciamo nessuna opera. Non se ne può più di opere annunciate. Interveniamo per migliorare la qualità  dei servizi per i cittadini. Diciamo che è manutenzione straordinaria». Dei 3,1 miliardi, uno andrà  alla scuola, 400 milioni sono per l’agenda digitale, 140 milioni al credito per l’occupazione e oltre un miliardo e mezzo è destinato a un Fondo per gli investimenti ferroviari.

È un piano d’azione per il Sud. Eppure «la diversità » del Mezzogiorno, come ha scritto Romano Prodi, sta nel controllo del territorio da parte della criminalità . Ha senso progettare il rilancio dell’economia meridionale senza un piano parallelo straordinario di lotta alle mafie?
«Non credo che questa sia la “diversità ” del Mezzogiorno. C’è una presenza forte della criminalità  anche nelle regioni del centro-nord. La peculiarità  del sud, questa sì, è nella debolezza straordinaria del contratto sociale: i cittadini non sono affatto certi che lo Stato produca beni collettivi, ritengono, piuttosto, che persegua interessi particolari. Così rinunciano a pensare che lo Stato abbia un dovere verso la comunità . È questo che rompe il contratto sociale. E alla sua ricostruzione si deve lavorare. Da qui il nostro progetto: non nuove opere, ma l’ambizione di realizzare un servizio migliore per i cittadini».
Progetto ambizioso, l’ha detto lei. Sul quale si potrebbero avere dubbi vista la vostra clamorosa retromarcia sulle liberalizzazioni.
«In questi anni abbiamo attribuito alla parola conflitto un connotato esclusivamente negativo. Ma quando si cerca di innovare, quando si rompono caste e privilegi, cosa pensa che possano essere tutti d’accordo? Che non ci siano resistenze? In questi pochi giorni abbiamo avviato una dura battaglia contro i privilegi. Pensi a quello che stiamo facendo sulla previdenza». 
Intanto avete rinviato le liberalizzazioni.
«No. Abbiamo temporaneamente perso, ma puntiamo a vincere la prossima battaglia. Non è un capitolo chiuso».
Aprirete quello delle privatizzazioni? Vendendo le aziende e beni dello Stato potreste ridurre il debito e ricavare risorse per lo sviluppo.
«Su questo tema vanno distinti due approcci: il primo che guarda alla cassa, il secondo che guarda alla buona conduzione delle aziende. Bene, il governo privilegia quest’ultimo. La priorità  per noi è che si massimizzi il risultato. Anche per questo abbiamo introdotto la norma, che vale pure per le società  pubbliche, che vieta gli intrecci tra i membri dei consigli di amministrazione di aziende concorrenti».
Lei ha curato una Storia del capitalismo italiano. Pensa che il nostro modello industriale, con tante piccole imprese, sia ancora in grado di reggere la competizione globale?
«Se guardiamo ai numeri ci accorgiamo che è proprio il sistema delle piccole imprese, dato per morto una volta al mese, sta tenendo in piedi il nostro Pil. Ai piccoli e ai distretti dobbiamo l’exploit delle esportazioni (+15%) nella prima parte del 2011. Poi sappiamo tutti che bisognerebbe che le medie imprese diventino grandi e le piccole medie».
Taglierete gli aiuti alle imprese? Si parla di 40-50 miliardi.
«I numeri che girano sono sbagliati. Gli aiuti di Stato alle imprese sono lo 0,2% del Pil contro una media Ocse dello 0,5%. Se poi mi chiede se consideriamo i sussidi una strada per la crescita le rispondo: assolutamente no».

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