Banche, morire per Basilea? No, grazie

Loading

Mentre si profila un secondo credit crunch dopo quello dell’autunno 2008, può essere pericoloso svenarsi in aumenti di capitale per obbedire a una regolazione sbagliata.
Tre dati la dicono lunga. Primo, tra il 2006 e il 2008, in base al secondo accordo di Basilea in Europa e alla riforma bancaria del 1991 negli Usa, le grandi banche poi fallite o salvate dai governi apparivano più solide e solvibili delle consorelle che se la sono cavata da sole. Secondo Andrew Haldane, Bank of England, il capitale delle decadute era pari all’8-9% degli attivi, 1-1,5% in più della media. La storia si è ripetuta adesso con Dexia.
Secondo dato, la sproporzione tra la leva finanziaria legale delle banche e quella artificiale ricostruita per stabilire il capitale minimo per operare. La leva finanziaria, leggibile sui bilanci, è il rapporto tra il totale delle attività  e il patrimonio netto. Ma con Basilea 2, fermo restando il denominatore, il numeratore cambia: invece della somma degli attivi, ecco la somma ponderata in base al diverso rischio attribuito alle diverse classi di attivi. Questo procedimento, assai opaco, riduce di molto la base su cui calcolare il capitale minimo. Nelle banche più conservative (Bilbao, Santander, Intesa Sanpaolo e Unicredit) gli attivi ponderati stanno fra il 57 e il 49% di quelli di bilancio, mentre nelle più spinte (Ubs, Credit Suisse, Deutsche Bank, Bnp, SocGen e Barclays) stanno fra il 15 e il 30%. Prestabilito il rapporto, la taglia del denominatore dipende da quella del numeratore. La ponderazione, dunque, serve a diminuire drasticamente il capitale delle banche a parità  di attivi ovvero ad aumentare gli attivi lasciando immutato il capitale e facendo correre i debiti. In tal modo, nella presunzione di azzerare il rischio di fallimento delle controparti con l’innovazione finanziaria, ecco che le banche regalano ai soci ritorni del 15-20% e compensi da capogiro ai banchieri. Che dicono di meritarseli.
Terzo dato, i criteri di ponderazione. Secondo Basilea 2, le banche possono seguire modelli standard, fissati dalla Vigilanza di ogni Paese, ovvero modelli avanzati, elaborati dalla singola banca e convalidati dalla Vigilanza. In Italia, nel modello standard i mutui pesano per il 37% del valore facciale; nel modello avanzato di Intesa per il 25. In Francia, Paribas ha il 12%, SocGen il 9%. Nelle maggiori banche inglesi, avvertono Bank of England e Financial Services Authority, a parità  di portafogli emergono divergenze del 100% nei crediti interbancari, del 150% nei crediti alle imprese, del 280% nei titoli sovrani. Quale conturbante confessione di impotenza del regolatore! Era complice o incompetente? Certo, la sua cattura da parte dei regolati ha il bacio in fronte della legge.
Eppure, avverte Haldane, era noto come, fin dalla rottura degli accordi di Bretton Woods nel 1971, i banchieri, almeno gli inglesi, abbiano sempre rischiato il massimo consentito. Non un penny di meno in omaggio alla prudenza. Il che avrebbe dovuto mettere in guardia governi e banche centrali sulla moltiplicazione del rischio che sarebbe derivata dall’allentamento dei vincoli e delle sanzioni fallimentari. E invece, nel comporre il quadro, i rischi di mercato, da cui è venuta gran parte delle perdite, contano pochissimo, tra il 2% e il 10%, quando invece l’attività  finanziaria pesa sempre più.
Di cattivo credito una banca muore lentamente, ma una vera crisi di liquidità  la uccide in una mattina. Basilea 2 si è rivelata impotente a prevenire e curare tali shock, che possono nascere sia dal contesto sia dalle caratteristiche della singola banca. Hanno dovuto pagare gli Stati facendo debito pubblico, con quel che è seguito. Ma che cosa fa Basilea 3? Lavora sul denominatore, aggiunge un 2% qua e un 1,5% là  al capitale: una percentuale per ogni precedente fiasco. Irrigidisce anche il numeratore, toccando i titoli di Stato, non i tossici. Ma lascia l’autovalutazione convalidata dalla Vigilanza su migliaia di poste, terreno fertile per ogni manipolazione. In altre parole, non emancipa il regolatore dal regolato. E conferma la Babele delle regole.
Eppure, anche dal cuore del sistema si invita ad abolire ogni ponderazione e ad adottare criteri prudenziali più sani e omogenei quali la leva finanziaria. In un seminario europeo, Stefano Micossi, direttore Assonime, ha prospettato un rapporto tra attività  totali e capitale di non più di 10-15 volte. Nel suo ultimo saggio, Fulvio Coltorti, responsabile dell’Area studi di Mediobanca, precisa: capitale tangibile, ovvero depurato dagli avviamenti, altra voce assai manipolabile. Incidentalmente, le banche italiane hanno una leva finanziaria più bassa delle concorrenti tedesche, francesi e svizzere. La difesa degli interessi nazionali aiuterebbe anche la stabilità  del sistema bancario europeo. Gli aumenti di capitale saranno ancora necessari da noi? Probabilmente sì, con tanti avviamenti discutibili, e in mancanza del mercato dovrebbe intervenire lo Stato. Ma la stagione degli inganni avrebbe fine.


Related Articles

“Mi fa paura l’autoritarismo del movimento di Grillo”

Loading

Camusso: è un’organizzazione considerata come proprietà  del leader

Quello che segue è un estratto del libro intervista di Stefano Lepri al leader della Cgil Susanna Camusso
L’ irrigidimento delle strutture dei vecchi partiti favorisce il formarsi di partiti nuovi
Il Movimento 5 Stelle è un misto singolare di partecipazione volontaria e di leaderismo…

Noi e Santoro, lavoro comune

Loading

110 ANNI DELLA FIOM – Cosa c’entrano la Fiom e la festa nazionale per i suoi 110 anni con Santoro e i suoi ospiti? La scelta che abbiamo fatto è stata di non organizzare una semplice ricorrenza, un ricordo delle ragioni che diedero vita agli albori del 1900 alla Federazione Impiegati e Operai Metallurgici, ma di partire da quelle ragioni per riportare alla luce una storia storia e tante lotte. Oggi attuali come allora. La scelta è di ridare la dignità  di bene comune, di patrimonio di tutti, al lavoro, alla democrazia, ai diritti, al contratto nazionale e alla legalità : le cinque parole d’ordine che erano alla base della grande manifestazione nazionale della Fiom del 16 ottobre 2010.

Dopo Bologna la festa continua in un’altra Milano

Loading

MILANO – «Siamo contenti che il sindaco Pisapia sia presente e siamo pronti a collaborare, così come, nella nostra autonomia, ci sentiamo liberi anche di criticare». La festa per i 110 anni della Fiom dopo la grande kermesse di Bologna trasloca a Milano e il segretario nazionale Maurizio Landini traccia così la linea dei nuovi rapporti con Palazzo Marino. 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment