Arrigoni, la famiglia contro alla pena di morte “Vogliamo giustizia, non una vendetta”

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ROMA – Verità  e giustizia, non vendetta. A otto mesi dal rapimento e dall’uccisione nella Striscia di Gaza di Vittorio Arrigoni, la famiglia chiede pubblicamente che, in caso di condanna dei presunti assassini, non venga applicata la pena di morte. Un processo quello in corso a Gaza, “che non sta tendendo alla verità  – dice il legale della famiglia, Gilberto Pagani – e che sta avvenendo nel totale disinteresse delle istituzioni italiane”. In una lettera, resa pubblica dal Palestinian Center for Human Rights , la madre e la sorella di Arrigoni (il padre è recentemente scomparso, n.d.r.), hanno risposto ai familiari di tre imputati che, in una precedente lettera, avevano espresso rammarico per l’uccisione di Vittorio, chiedendo il perdono dei propri cari.

Un processo equo.
“Vogliamo un processo equo in base ai requisiti del diritto internazionale, al fine di rivelare le circostanze del delitto e perché giustizia sia fatta – scrive la famiglia Arrigoni – . In ogni caso, se la corte riterrà  colpevoli gli accusati, vorremmo che fosse chiaro che siamo contrari all’applicazione della pena di morte. Speriamo che il nostro gesto – conclude la lettera – possa aiutare a trovare la via della pace e della fratellanza, l’obiettivo per il quale Vittorio si è sempre battuto in tutta la sua vita”. Sono due, in particolare, gli interrogativi sollevati dalla famiglia Arrigoni finora rimasti senza risposta: perché rapire proprio Vittorio e perché ucciderlo prima dell’ultimatum lanciato dagli stessi rapitori. Ma nelle dieci udienze tenute presso la Corte Militare di Gaza (tre degli imputati, appartenenti a una presunta cellula salafita, facevano parte del servizio di sicurezza di Hamas, n.d.r.) i punti non sono ancora stati toccati.

I punti oscuri. “Siamo in una fase di stallo – afferma Pagani – tra continui rinvii procedurali, testimoni che non si presentano e punti oscuri nella ricostruzione della vicenda. Non si sta tendendo alla verità , ma alla punizione di qualcuno, probabilmente perché ci sono complicità  nell’apparato statale, che non si ha interesse a rivelare”. Ma a dimostrare “totale interesse”, secondo Pagani, sarebbero state finora anche le istituzioni italiane. “Ad eccezione del messaggio di cordoglio del Presidente della Repubblica, non è stato fatto nulla per sostenere i familiari nella ricerca della verità  e per dare loro pieno appoggio, venendo meno a un preciso obbligo giuridico. Capisco che la situazione sia complicata, essendoci di mezzo anche un governo (Hamas) considerato dal nostro precedente esecutivo un’organizzazione terroristica, ma ciò non significa che non si debba contribuire a far luce sull’omicidio di un nostro connazionale all’estero”.

Il governo rispetti i suoi doveri. Pochi giorni fa il legale della famiglia Arrigoni ha rinviato al Presidente della Repubblica e ai Ministri della Giustizia e degli Esteri una richiesta formale di intervento “nella speranza che il nuovo Governo rispetti i propri doveri istituzionali”. E sempre nei giorni scorsi, la famiglia Arrigoni ha deciso di ridare vita al blog di Vittorio (guerillaradio. iobloggo. com), perché “continui a dar voce ai testimoni di tutte le ingiustizie e delle negazioni dei diritti umani, ovunque esse si manifestino”.


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