Ancora un suicidio tra i poliziotti penitenziari. Sappe: “Nulla viene fatto”

by Sergio Segio | 20 Dicembre 2011 17:19

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PORDENONE – “Siamo sgomenti e sconvolti. Un assistente capo di Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Pordenone, nato in Svizzera da genitori siciliani, si è suicidato a San Vito al Tagliamento nella giornata di ieri. Non sono ancora chiare le ragioni che hanno spinto l’uomo, 43 anni, sposato e con tre figli, a compiere il gesto estremo. Sappiamo che dopo aver terminato il turno di servizio alle 14, il collega è ritornato in carcere verso le 15 per ritirare la pistola d’ordinanza ma nulla faceva presagire l’imminente tragedia. Siamo impietriti per questa nuova immane tragedia, anche perchè avviene a brevissima distanza di tempo dal suicidio di altri appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio ad Avellino, Mamone Lodè, Caltagirone, Viterbo, Torino e Roma”. Così Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) commenta la morte di un agente di polizia penitenziaria in servizio a Pordenone. Una tragedia avvenuta, secondo Capece, “nell’indifferenza assoluta e colpevole dell’Amministrazione Penitenziaria che continua a sottovalutare questa grave realtà . Noi ci stringiamo con tutto l’affetto e la solidarietà  possibili al dolore indescrivibile della moglie, dei figli, dei familiari, degli amici, dei colleghi.”

Continua il segretario generale del Sappe: “Dal 2000 ad oggi si sono uccisi 100 poliziotti penitenziari, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). E sette suicidi in pochi mesi sono sconvolgenti. Da tempo sosteniamo che bisogna comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività  lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere. L’Amministrazione penitenziaria, dopo la tragica escalation di suicidi degli scorsi anni – nell’ordine di 10 casi in pochi mesi! –, accertò che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il Dap assicurò i sindacati di prestare particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l’eventuale istituzione di centri di ascolto. Sarebbe però curioso sapere – e come primo Sindacato della Polizia Penitenziaria abbiamo più volte sollecitato al Dipartimento di monitorare la questione – cosa concretamente è stato fatto, a livello centrale e periferico, in adempimento alle disposizioni emanate nel tempo sulla triste e tragica realtà  dei poliziotti e più in generale sul benessere del personale. Ma lo sappiamo già : praticamente zero, nulla, niente. Ed oggi ci ritroviamo con una ennesima Commissione, che peraltro non sappiamo da chi è concretamente composta, che suggerirà  sicuramente ulteriori valide proposte che però, come tutte quelle fino ad oggi indicate, saranno relegate in qualche cassetto dipartimentale”.

“Chiediamo al Ministro della Giustizia Paola Severino di farsi carico in prima persona di questo importante problema – conclude il Sappe -. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: l’istituzione di appositi Centri specializzati di psicologi del lavoro in grado di fornire un buon supporto agli operatori di Polizia – garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene – può essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità  spendibili in una professione davvero dura e difficile, all’interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti anche dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l’aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria. Su queste tragedie non possono e non devono esserci colpevoli superficialità  o disattenzioni!”.

 

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