Anche se alza la voce non è più Lega di lotta

by Sergio Segio | 5 Dicembre 2011 8:27

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Poi, la lotta (e siamo al punto B) a ogni ipotesi di riforma del sistema pensionistico. Un provvedimento contro il quale la Lega ha annunciato una iniziativa referendaria. C) Sullo sfondo, la polemica contro l’Europa dell’euro. E quindi contro la natura di questo governo. Non votato dal popolo, ma voluto dalle banche e dai banchieri.
Temi e messaggi che hanno marcato, da sempre, l’identità  – e il ruolo – di opposizione della Lega. Anche quando – quasi ininterrottamente, negli ultimi dieci anni – la Lega ha governato. Da ciò la prima novità  e diversità , rispetto al passato. Oggi la Lega è davvero all’opposizione. Unica forza politica presente in Parlamento apertamente contraria al governo Monti. Senza se e senza ma. Il che le permette di rimediare, almeno in parte, alle ambiguità  degli ultimi anni. Durante i quali aveva associato un linguaggio di lotta a una posizione – sempre più centrale – nel governo. Ora, semmai, la Lega ha il problema di far dimenticare che fino a ieri è stata il perno della maggioranza. E, insieme al governo Berlusconi, ha condiviso, seppur con molte reticenze, il pacchetto di misure – imposte dalla Ue e dalla Bce – che ieri Monti e i suoi ministri cosiddetti “tecnici” hanno (ri)presentato. Tuttavia, anche se sta all’opposizione, la Lega non può fare il “partito di lotta”. Non se lo può permettere.
1. Anzitutto, perché sono passati gli anni Novanta, quando la parola d’ordine era che l’indipendenza era necessaria, perché in Europa ci poteva entrare la Padania, ma non l’Italia gravata dai debiti. Oggi, invece, in Europa ci siamo. Ed è proprio il “direttorio europeo” a chiedere all’Italia, Padania compresa, di sanare il debito pubblico e di mettere a posto i conti.
2. Poi, ci sono valutazioni di tipo elettorale. La Lega ha ottenuto i suoi maggiori successi a partire dal 2008. Da quando, cioè, è tornata al governo (romano), comportandosi da “sindacalista del Nord”. Per trasferire risorse e benefici a favore delle aree e dei gruppi sociali presenti nel Nord. Per primi, gli imprenditori e gli operai delle aree di piccola impresa. A queste componenti, però, non interessa un soggetto politico “antagonista”, che spinga fuori dall’Europa. Semmai il contrario. Tant’è vero che le associazioni di rappresentanza degli imprenditori e dei lavoratori autonomi hanno espresso apertamente il loro malumore verso la (op) posizione leghista. Era già  avvenuto in passato, proprio dopo la marcia secessionista del 1996. Quando la Lega era crollata, dal punto di vista elettorale, sotto il 4%, alle Europee del 1999. Difficile che intenda rischiare ancora.
3. Anche perché, inutile nasconderlo, la “Lega di lotta” non c’è più. Oggi è al governo. Alla guida di 2 Regioni, 16 Province, circa 400 Comuni. I suoi uomini stanno dentro ai consigli di amministrazione e negli organismi direttivi di istituti pubblici, finanziari, bancari. E, ancora, negli organigrammi dei mezzi d’informazione. A livello locale, regionale e nazionale. Da “soli contro tutti”, chiusi dentro i confini padani, difficilmente potrebbero mantenere tanto potere. E poi, non è possibile fare i sindacalisti del Nord e la Lega di governo, almeno a livello territoriale, rifiutando il gioco politico “nazionale”. Non a caso Cota e Zaia, dopo aver rifiutato di partecipare all’incontro del governo con le Regioni, per la concomitanza con il parlamento del loro partito, hanno chiesto e ottenuto un confronto. (Anche se si sono dovuti “accontentare” del ministro Giarda, al posto di Monti.) Ma Cota e Zaia governano due Regioni italiane, non padane.
4. La Lega di Opposizione, oggi, non è più Lega di lotta. Perché ambisce di tornare al governo. Non della Padania. Ma dell’Italia. Così lancia proposte e iniziative molto meno laceranti del passato. L’indipendenza padana per via negoziale e consensuale. Non per via rivoluzionaria. Ma neppure referendaria. (Si rischierebbe di scoprire che si tratta di un sentimento marginale…). Il referendum, semmai, lo annuncia contro una legge dello Stato. Seguendo l’esempio di altri partiti su altri temi (la legge elettorale, il nucleare…). L’opposizione della Lega contro il governo, per molti versi, appare meno accesa di quella di altri soggetti economici e sociali. Per prima: la Cgil.
Quando Bossi annuncia (con parole diverse dalle mie) che Maroni incalzerà  Monti, attribuisce al più “istituzionale” dei leader leghisti il ruolo di capo dei gruppi parlamentari. Sposta, dunque, in Parlamento il luogo della “lotta”.
D’altronde, in questo momento, alla Lega fa comodo stare all’opposizione. Per sanare le sue divisioni interne. Per ritrovare la “spinta propulsiva”. Ma, al contempo, si guarda bene dal riproporre la Lega antagonista. Usa la Padania come un mito, una bandiera. La “secessione” come una prospettiva in-attuale, da perseguire per via contrattuale. Perché teme di venire spinta fuori dal sistema. Ha preso le distanze da Berlusconi e dal Pdl. Per purificarsi. Ma lavora in vista delle prossime elezioni. Anticipate. Al più presto possibile. Da affrontare insieme al Pdl. Perché la solitudine politica, a volte, serve. Ma alla lunga logora. Anche i padani più duri.

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